ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Due milanesi su tre scelgono la cremazione. Non solo per una questione di soldi: il culto dei morti perde importanza

I dati del Comune e l’analisi delle imprese funerarie. “Sempre meno marmisti, sparite le grosse cooperative di onoranze funebri. L’esigenza di avere una cappella è sempre meno sentita dalle famiglie, anche se benestanti”

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Il Cimitero Maggiore semi-deserto come spesso avviene a Milano e non solo

Milano – Circa due milanesi su tre decidono di tornare subito ad essere ‘cenere’ dopo la morte. Mentre le sepolture delle salme a terra o nei loculi sono ormai ‘fuori moda’. La percentuale di cremazioni a Milano è “attorno al 70%”, secondo l’analisi della Federcofit, federazione comparto funerario italiano che in Lombardia rappresenta 90 imprese.

Secondo i dati dell’ufficio statistico del Comune di Milano, nel 2023 le cremazioni sono state 12.113 su un totale di 15.902 decessi (fra residenti e non) in città. L’anno precedente sono state di più (13.102) ma anche i morti erano stati più numerosi (17.083). La scelta di farsi cremare è dettata soprattutto dal portafoglio: i costi sono inferiori non solo in futuro (perché si evita, allo scadere della concessione della sepoltura a terra o del loculo, di sborsare soldi per l’esumazione), ma sin da subito: non è necessario il cofano funebre con la contro-cassa in zinco e c’è un prezzo più basso per le concessioni cimiteriali.

“Un cinerario a Milano e provincia si aggira su 700/800 euro, per un colombario la cifra sale a 5mila euro, per una tomba si arriva a spendere 25mila euro. A determinare la crescita delle cremazioni, concentrata soprattutto nelle aree settentrionali fortemente antropizzate, è stato anche il cambiamento culturale, con l’apertura del Vaticano verso una pratica che nel passato non era caldeggiata”, dettaglia Davide Veronese, presidente di Federcofit e amministratore dell’agenzia Pirovano.

Se poi si decide di tenere l’urna in casa o di disperdere le ceneri nell’ambiente, si può fare a meno anche della celletta al cimitero. “In generale, assistiamo alla diminuzione del culto dei morti che riflette la disgregazione della famiglia. Di domenica nei cimiteri ci si trova solo qualche anziano” afferma Maurizio Cremascoli, titolare delle imprese di onoranze funebri Certosa ed Europa. “A farne le spese negli ultimi decenni sono stati i marmisti, con un crollo di richieste di lapidi e accessori in bronzo. Le grosse cooperative di allestimenti funebri sono scomparse: quando ho iniziato, mezzo secolo fa, in quartieri popolari come l’Isola e il Ticinese, si arrivava ad addobbare l’intero porticato di un’abitazione”.

E il fenomeno attraversa tutte le classi sociali, anche quelle più elevate. “L’esigenza di avere una cappella di famiglia al Monumentale dove noi operiamo non è più sentita come fino a 25 anni fa. Non è raro che allo scadere della concessione di un’edicola, dopo 99 anni, gli eredi, anche se non hanno problemi economici, non siano più interessati a rinnovarla” fa sapere Carole Maguet, titolare di Onoranze La Simonetta. “C’è stato un ridimensionamento del rito tradizionale delle esequie ma stiamo scontando anche l’operato di quelle imprese del settore che nel passato hanno aumentato in modo eccessivo la marginalità per funerali tradizionali, col risultato che il mercato si è indirizzato verso servizi più semplici e meno onerosi. Capiamo il dolore legato al decesso, ma noi suggeriamo alle famiglie di non affidarsi al primo operatore disponibile e di chiedere sempre il preventivo”, analizza Daniele Contessi, amministratore di Outlet del Funerale.