MIlano, 2 luglio 2018- «Ogni giorno che passa siamo sempre più preoccupati, anche per le condizioni di salute di mia sorella. Cristina deve essere rimandata in Italia al più presto». Silvia Cattafesta, una delle sorelle dell’attivista trattenuta in Turchia, da una settimana vive fra timore e speranza, in attesa della telefonata decisiva dalla Turchia o da Roma. Con i familiari e l’altra sorella, Carlotta, chiede che il Governo italiano si mobiliti per ottenere subito il rimpatrio della milanese di 62 anni da sempre impegnata per i diritti civili, presidente del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda), che nel 2016 si candidò alle elezioni Comunali con la lista civica di sinistra di Basilio Rizzo. «Stiamo aspettando le mosse della diplomazia – spiega Silvia –, siamo sempre in attesa, perché la situazione è complessa e serve la massima cautela. L’iter per l’espulsione potrebbe richiedere anche sei mesi – prosegue –, ma mia sorella non può rimanere in Turchia così a lungo».
Cristina Cattafesta, infatti, soffre di problemi di salute, ha la necessità di controlli e cure adeguate. La famiglia ha inviato un certificato medico alla Farnesina, e il personale si è assicurato che alla donna vengano forniti i medicinali nel centro di identificazione ed espulsione di Gaziantep, dove è trattenuta. «Le hanno sequestrato il telefono – sottolinea la sorella – e non possiamo comunicare con lei. Cristina non ha fatto nulla di male, la sua unica “colpa” è stata quella di impegnarsi per i diritti civili». Un impegno che l’ha portata a raggiungere la zona a maggioranza curda della Turchia con una delegazione del Cisda, osservatori internazionali indipendenti in occasione delle elezioni. Attività che non sono ben viste dal Governo guidato da Recep Tayyip Erdogan, che ha ottenuto una conferma dalla tornata elettorale ma anche lo “schiaffo” dell’ingresso in Parlamento del partito filo curdo Hdp.
La delegazioen è stata fermata dalla polizia, domenica 24 giugno, giorno del voto, per un controllo nella zona di Batman. Gli altri attivisti sono stati allontanati e sono già rientrati in Italia, mentre per Cristina Cattafesta è iniziata un’odissea giudiziaria innescata da una bandiera del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, pubblicata sul suo profilo Facebook. La 62enne è stata fermata e interrogata. I magistrati turchi hanno deciso di non contestare l’accusa di propaganda terroristica, che rischiava di aprire le porte del carcere. Ed è stato avviato un iter per l’espulsione dai tempi incerti. Cristina Cattafesta è assistita da un legale turco e dal personale del Consolato italiano. In Italia è partita una mobilitazione, con appelli di associazioni e familiari, assistiti dall’avvocato Alessandra Ballerini, interrogazioni parlamentari e un ordine del giorno approvato all’unanimità dal Consiglio comunale di Milano. Pressing sul ministero degli Esteri per «ottenere al più presto il rientro» della cittadina italiana. Il timore degli attivisti è quello di una mossa della Turchia per «intimidire» le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti civili. «I giorni passano e la situazione non si è ancora risolta – conclude Silvia Cattafesta – per questo siamo sempre più preoccupati».