JESSICA MULLER CASTAGLIUOLO
Cronaca

Dall’ambulanza alla laurea in sanità: "Io, soccorritrice in pandemia ho voluto studiare i pronto soccorso"

La tesi di Elisabetta Porta, giovanissima volontaria in Croce Bianca, premiata dal Consorzio Dafne "Quasi un accesso su 10 si può prevenire. Spesso sono anziani che soffrono (anche) di solitudine" .

La tesi di Elisabetta Porta, giovanissima volontaria in Croce Bianca, premiata dal Consorzio Dafne "Quasi un accesso su 10 si può prevenire. Spesso sono anziani che soffrono (anche) di solitudine" .

La tesi di Elisabetta Porta, giovanissima volontaria in Croce Bianca, premiata dal Consorzio Dafne "Quasi un accesso su 10 si può prevenire. Spesso sono anziani che soffrono (anche) di solitudine" .

"Entrare a contatto con le persone senza poter far trapelare lo sguardo, il sorriso. Poterci essere per loro solo con un contatto mediato da strati di guanti e camici". Elisabetta Porta, classe 1999, non ha dimenticato l’esperienza da soccorritrice durante la pandemia, quando era una giovanissima volontaria della Croce Bianca di Cernusco sul Naviglio. È da quella esperienza che nasce la sua tesi, premiata dal Consorzio Dafne, con la quale si laurea all’Università degli Studi di Milano in Management delle aziende sanitarie e del settore salute. "Ho visto infermieri, triagisti e operatori sanitari lavorare senza sosta. Una dinamica di équipe che mi ha subito affascinata. Ho capito che mi interessava approfondire la gestione del pronto soccorso sia come spazio infrastrutturale sia come flusso di pazienti", spiega. I tempi di attesa al pronto soccorso non dovrebbero, secondo le linee guida nazionali, superare le otto ore. Una di quelle norme che si scontra con una realtà ben diversa, con tempi dilatati, persone anziane o fragili che attendono su barelle di fortuna, tra un’emergenza e l’altra. Ma quali sono le possibili ragioni? Una domanda tutt’altro che ingenua. Lo sa bene la studentessa, che ha cercato di rispondervi con rigore scientifico, analizzando e incrociando un’enorme mole di dati: 20 milioni di accessi ai pronto soccorso lombardi dal 2018 al 2023. "Sono dati anonimizzati che utilizzano indicatori sviluppati dall’Agency for Healthcare Research and Quality, ma che non sono mai stati adattati nel contesto lombardo", precisa.

Cosa ha scoperto?

"Il risultato della mia tesi è che, in media, il 7,3% degli accessi sono potenzialmente prevenibili".

Insomma poco meno di un paziente su 10 non dovrebbe trovarsi in pronto soccorso?

"Esatto: dovrebbero essere orientati verso cure più adeguate, come i servizi territoriali e le Case di Comunità. Se prendiamo a riferimento solo il 2023, l’8% degli accessi impropri hanno riguardato le medesime diagnosi: emicrania, mal di schiena e lombalgie, influenze e infiammazioni alle alte vie respiratorie. Patologie che possono essere curate anche a domicilio".

Ci sono fasce di popolazione più protagoniste di questa dinamica?

"Ogni anno in media il 7,2% degli accessi sono di persone over 85. Gli anziani, con le loro cronicità, dovrebbero essere intercettati sul territorio e fare un percorso di cura programmato con anche assistenza domiciliare. Sono spesso soli e si rivolgono agli ospedali anche per compagnia o perché non sanno come affrontare un problema magari di semplice risoluzione. Lo vedo anche da soccorritrice volontaria, c’è tanta solitudine e tanta fragilità".

Qualche dato che l’ha stupita?

"Mi ha incuriosita un trend lineare: il lunedì mattina si presenta sempre il picco di accessi. Sembra quasi che abbiamo paura di iniziare la settimana".

Come se lo spiega?

"Credo che anche questo dipenda dal fatto che nei weekend i medici di medicina generale non sono raggiungibili. Anche questo dimostra che la medicina territoriale può fare davvero la differenza".