
Laura
Volpi*
Se c’è una una dimensione dal forte impatto visivo che appare visitando la bellissima mostra retrospettiva su Mario Sironi, nelle sale del Museo del Novecento, è certamente individuabile nella rappresentazione del paesaggio urbano di Milano che il pittore realizzò intorno agli anni Venti del secolo scorso. Più che la “tragica sintesi delle figure umane“, più ancora degli esiti per le grandiose opere pubbliche, in un intreccio creato tra le sale del museo e i diversi luoghi della città che conservano le opere dell’artista, è quella Milano lì, evocata e tanto lontana, a scuotere emotivamente il visitatore dell’esposizione. Una città che appare nella sua dimensione contemporanea e nel lirismo struggente delle periferie violacee e solitarie, portando con sé la riflessione su quale possa essere il posto occupato dall’uomo immerso in un luogo a tratti straniante e che, tuttavia, si evolve, muta prospettiva, costruisce il nuovo, lavorando indefessamente. L’angoscia del presente novecentesco s’innesta sulla cultura del progresso e del futuro, nelle fabbriche, nelle ciminiere, nelle gru, negli scambi ferroviari che serpeggiano sinuosi tra silos, torri e palazzi apparentemente muti e persino metafisici; nei tram gialli che appaiono ossimoricamente silenziosi e che raccontano il divenire del tempo, in una “sintesi tra paesaggio urbano“, in cui le forme geometriche si semplificano in un’atmosfera sospesa e monocroma, e l’uomo che lo abita. Sono immagini che divengono metafore di una durezza dell’esistenza che parrebbe scontrarsi con la grandiosità del moderno, in una contraddizione stridente tra i desideri dell’individuo, così apparentemente solo o persino assente dal contesto, e l’aspettativa per una qualità migliore di vita. A distanza di cent’anni, la nostra città conserva quei suoi valori, un’endiade di verità e realtà propria di tutta la cultura figurativa lombarda, ma ha saputo mutare colori e prospettive, in una pulsione verso le nuove istanze di futuro che raccontino il desiderio reiterato e immutabile per l’uomo di una “città ideale“, uno spazio armonico, a propria misura. La Milano del presente parte dalla necessità di riqualificare proprio quegli spazi periferici in un arcipelago di microrealtà urbane in cui respirare la vita, piuttosto che subirla passivamente, ridistribuendo le incredibili risorse create dalla città stessa in una logica di condivisione di bellezza che non può essere solo per pochi. A partire dalle periferie di Sironi, che Gianni Rodari definì “una lezione di tragedia“ e che oggi si trasformano in un magistero nuovo per interpretare la condivisione e il desiderio di appartenenza.
* Docente