Milano, 29 aprile 2019 - «Iniziazione e ricerca». L’arte del tatuaggio vista dal milanese Daniele Carlotti, 53 anni, uno dei maestri del dipinto sulla pelle. Il suo Tattoo Shop, in via Torricelli, è stato il primo negozio di tatuaggi su strada a Milano. Ma prima di aprirlo nel 1985 ha dovuto intraprendere una lunga quête: dagli esordi punk alla bottega con il tatuatore Gianmaurizio Fercioni, fino alla corte «pericolosa» dal celeberrimo Hanky Panky ad Amsterdam. E poi tanti viaggi che lo hanno portato in Inghilterra, a Samoa, in India, Thailandia.
Un percorso avventuroso che gli fa apparire con «sospetto» «il proliferare attuale delle scuole di tattoo: non bastano poche lezioni per dire di saper fare un tatuaggio» dice. Lui entra in contatto con l’inchiostro sotto la pelle grazie all’Interrail, a 15 anni, che lo conduce ad Amsterdam. «Il mio primo tatuaggio me l’ha fatto Hanky Panky. Il soggetto? Un paio di Doc Martens», anfibi simbolo della cultura punk a cui apparteneva. Sopra lo studio c’era il bar frequentato dagli Hell’s Angels. Per il giovane Carlotti è la scoperta di «mondo di adulti che facevano dannatamente sul serio». Trova il suo elemento. L’incontro più importante per la sua formazione avviene a Milano, per caso: «In Garibaldi un giorno incontro Fercioni. Rimane colpito dal fatto che avessi già 3 tatuaggi a 17 anni, allora non era trendy. Mi chiede se volevo venire a imparare da lui il mestiere». La macchinetta all’inizio neanche la vede: «Spazzavo i pavimenti e compravo la carta assorbente…». Ma piano piano apprende l’abc del mestiere «a «fare gli aghi», ossia a saldarne un certo numero. 3, 5, 7 o di più a seconda del tattoo».
Con Fercioni litiga dopo quasi un anno: «Due caratteri forti, era inevitabile. Ma prima di andarmene mi regala i tubi e gli aghi e mi dice di trovare la mia strada». Il cadeaux è il riconoscimento di un talento. La sua attività prosegue a domicilio ma va sempre in pellegrinaggio ad Amsterdam: «Continuavo a farmi tatuare da Hanky Panky. Un giorno gli chiedo dove comprare l’attrezzatura e lui mi dà qualcosa di suo e l’indirizzo di Micky Sharpz, a Birmingham, che conoscevano in pochissimi. Però mi avverte: “Se ti azzardi a venire a tatuare ad Amsterdam ti spacco le mani”. Non scherzava».
Torna a casa e nel 1985 apre lo studio in via Torricelli: «Ero il quarto tatuatore a Milano». Gli operatori cominciano ad aumentare negli anni ’90 ma l’esplosione ci sarà solo dopo il 2000, grazie a programmi tv che sdoganano il tattoo: «Non sputo nel piatto in cui mangio, per me ha significato lavoro». Suoi tatuaggi sono, fra gli altri, sul corpo del rapper Fabri Fibra o dell’ex calciatore Massimo Ambrosini. Consigli per un giovane che vuole imparare l’arte? «Disegnare molto e leggere altrettanto. Soprattutto i cinque numeri della rivista Tattootime, la «Bibbia». Internet? È un calderone confuso, da evitare. La fortuna è trovare un buon maestro». Quelli seri non hanno le porte aperte: «Di allievi ne ho avuti solo quattro. Però fanno ancora tutti i tatuatori».