Milano – La sfida del pensiero creativo, in tempi di intelligenza artificiale, il settore moda da rilanciare e un campus tutto da disegnare, nell’area ex Macello, in zona Calvairate. “Lo immagino come una factory alla Andy Warhol” anticipa Danilo Venturi, 52 anni, il nuovo direttore di Ied Milano.
Com’è stato il primo impatto con Milano?
“Milano per me è la città più europea d’Italia, una città dinamica. Per questo ho subito accettato l’incarico dopo l’esperienza a Ied Firenze: non solo qui c’è la sede più grande, ma l’headquarter dell’Istituto Europeo di Design, una bella responsabilità. Sono dispiegati i quattro dipartimenti: moda, arti visive, design e comunicazione. La scuola può trovare nella transdisciplinarietà un elemento di innovazione, cruciale in questo momento storico”.
Il futuro campus aiuterà?
“Certo, non sarà solo un grande contenitore. Si lavorerà fianco a fianco, sarà possibile ancora di più incrociare le competenze di docenti e studenti, coniugando passato, futuro e presente. E l’area ex Macello sarà aperta all’esterno”.
Intanto le sfide non mancano. Una su tutte: intelligenza artificiale. Come la vede?
“Siamo abituati ad avere ogni quattro o cinque anni una grande bolla, pensiamo alla bolla del metaverso, poi finita quasi nel nulla. Nel caso dell’intelligenza artificiale invece sono convinto che ci sarà un’evoluzione importante. Paradossalmente credo che se l’IA darà a tutti in maniera democratica - perché la trovi online gratuitamente - la possibilità di utilizzare strumenti tecnici che prima richiedevano competenze da costruire, la vera differenza la farà il pensiero innovativo: studiare un classico greco o romano diventerà importante anche per chi fa il designer. Come i concetti di errore e di brutto che, come diceva Umberto Eco, sono quegli elementi che quando li vedi ti disturbano e dopo tre visioni creano un nuovo corso estetico. Quando la capacità tecnica di base sarà garantita a tutti, la differenza la farà l’idea”.
L’IA entrerà nei programmi?
“È già entrata, è inevitabile e va guidata. Ma cambierà soprattutto il concetto di scuola e il profilo degli studenti: è un momento storico, succede raramente di essere nel flusso di un cambiamento così. Non restiamo indietro”.
Pensando a nuovi corsi, c’è qualcosa che manca? Cosa potenzierebbe?
“La prima cosa che ho fatto appena arrivato è concentrarmi sul dipartimento moda, che ha un nuovo coordinatore preparatissimo e giovane, Umberto Sannino, che sa parlare con questa generazione, così diversa, sensibile e anche fragile. Partiamo dalla moda perché assorbe tutto: comprende il design, è di fatto comunicazione, lancia messaggi. Nasceranno nuovi corsi. Quest’anno partirà anche Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo, estremamente multidisciplinare e coerente con Milano”.
Da quest’anno avrete anche “lauree magistrali“: la chiusura di un cerchio?
“Il biennio non solo completa il triennio quantitativamente, ma ha vantaggi qualitativi: permette di scegliere se continuare o cambiare percorso. È quando metti a lavorare insieme studenti che hanno esperienze diverse che emerge l’innovazione”.
Qual è stato il suo percorso scolastico e universitario?
“Alle medie le insegnanti mi avevano dirottato su un tecnico, per loro non avevo la mente da “liceo“ e così, essendo di Rimini, ho frequentato il tecnico turistico. Lavoro assicurato, insomma. Ma io avrei fatto il classico. Così ho voluto andare all’università: Scienze politiche a Bologna. Volevo completare l’aspetto più filosofico. Ho lavorato nell’industria musicale e come deejay per molti anni prima di cominciare la mia carriera nella moda e nel mondo accademico”.
In tempi di iscrizioni alle superiori, che consiglio darebbe ai ragazzi?
“Scegli di fare quello che sei. Senza pensare troppo a mestieri e ai consigli che ti danno gli altri: la scuola è diventare pienamente quello che sei tu. È così banale che non lo facciamo mai”.
Milano attrae: le immatricolazioni nelle università e nelle accademie sono in crescita dopo lo stop di un anno fa, trainate dagli stranieri. Ma resta il tema dell’abitare: come evitare che diventi esclusiva?
“Sono appena arrivato a Milano e ho una visione un po’ più distaccata, che può aiutare. Il problema non è Milano. È un problema italiano ed europeo e non è legato neppure tanto alla casa quanto agli stipendi dei genitori. Milano diventa bandiera perché è una bandiera: se affermi un problema qui, lo affermi ovunque. Ovviamente noi interveniamo con convenzioni, con una campagna di sconti e prezzi diversi sulla base del reddito, per venire incontro alle famiglie, ma il problema è più profondo”.
Però nella carissima settimana del design avete optato anche voi per le tende e il campeggio...
“Il Glitch Camp tornerà anche quest’anno. È un’iniziativa carina che vuol essere anche una denuncia. Che, ripeto, non vale solo per Milano. Questa narrazione ogni tanto danneggia la città. Per cambiare il sistema serve una iniezione finanziaria o innovazione. Ecco, noi ripartiamo dal’innovazione”.