di Andrea Gianni
Licenziamenti scongiurati, e uno “scudo“ per i colleghi più giovani in un periodo di crisi occupazionale innescata dalla pandemia. Sono gli effetti di un accordo pilota firmato da sindacati e gruppo Danone, con un lunghissimo scivolo verso la pensione sfruttando le nuove norme che hanno allargato le maglie temporali dello strumento dell’isopensione introdotto dalla legge Monti-Fornero. In sostanza una cinquantina di dipendenti ai quali mancano fino a 7 anni alla pensione potranno lasciare il lavoro, su base volontaria, beneficiando di una provvista economica mensile messa a disposizione dall’azienda fino alla maturazione del diritto alla pensione. Un super-incentivo all’esodo che riguarda persone con un’età media di 58 anni, in particolare nel quartier generale in via Farini a Milano della multinazionale francese che in Italia conta circa 500 dipendenti, compresi i marchi Mellin e Nutricia. "È una delle prime volte che questo strumento viene usato nel settore agroalimentare", spiega il segretario generale della Fai-Cisl Milano Metropoli Gennaro De Falco, che ha firmato l’accordo insieme alla Flai-Cgil. "La premessa è in un piano di riorganizzazione a livello globale da parte della multinazionale – prosegue – che rischiava di tradursi in licenziamenti in Italia. Con questo accordo siamo riusciti a gestirlo in maniera non traumatica, proteggendo anche i posti di lavoro dei dipendenti più giovani in un periodo di crisi". L’accordo prevede anche copertura assicurativa sanitaria garantita ai dipendenti che aderiranno, oltre ai contributi.
È stata prevista una durata triennale, in modo tale che anche chi raggiungerà il requisito dei 7 anni mancanti alla pensione entro agosto 2023, alla sua maturazione potrà essere collocato in isopensione. Danone - in passato finita al centro delle proteste per tagli che hanno interessato anche la Lombardia - non è l’unica multinazionale che in questo periodo sta trattando per uscite anticipate. In altri settori, la farmaceutica Sanofi ha presentato un piano con 45 esuberi che dovrebbe sfociare in accompagnamenti all’uscita volontaria. Poi ci sono movimenti in grossi gruppi bancari e assicurativi, oltre ai comparti più colpiti dalla crisi. "Al momento nel nostro settore, l’agroalimentare – spiega De Falco – non abbiamo segnali di licenziamenti di massa, le crisi sono state gestite finora con gli ammortizzatori sociali".