NICOLA PALMA
Cronaca

Daspo per 5 anni dopo gli insulti alla Brigata ebraica: “Ma cosa c’entra lo stadio?”. I giudici: “Misura sproporzionata”

Nel mirino un ventenne indagato per il raid del 25 aprile in piazza Duomo. Divieto sospeso dal Tar: compromessa la libertà di circolazione coi mezzi

Il raid contro la Brigata ebraica a Milano

Il raid contro la Brigata ebraica a Milano

MILANO – Pomeriggio del 25 aprile 2024, sul palco della Festa della liberazione si susseguono gli interventi. All’ingresso in piazza Duomo della Brigata Ebraica, scatta il raid: alcuni ragazzi inveiscono con insulti “ed epiteti discriminatori e dal tenore antisemita”; c’è anche un contatto di pochi secondi, tra spintoni e aste di bandiera usate come armi. È in quel contesto che gli agenti della Digos identificano un ventenne di origini nordafricane, poi denunciato per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.

Per quei comportamenti, si scopre oggi da un’ordinanza del Tar, la Questura ha comminato non solo due divieti di accesso da un anno ai locali pubblici nella zona della Cattedrale e alle aree urbane del centro storico, ma anche un Daspo sportivo di 5 anni. Un divieto cosiddetto “fuori contesto”, che prende linfa dagli articoli 2 e 3 del decreto legge 122 del 1993 e che estende lo stop anche a coloro che non si siano resi protagonisti di reati “da stadio”, ma che siano stati indagati o condannati per reati “d’odio” come quello previsto dall’articolo 604 bis.

Un divieto che in sostanza punta a tenere lontane da San Siro persone pericolose. Il provvedimento di via Fatebenefratelli è stato impugnato dalla legale del ventenne, Maria Cristina Romano, che ha ottenuto dal Tar la sospensione della misura di prevenzione, in attesa dell’udienza di merito in programma nel gennaio 2026. L’avvocata è partita da due premesse. La prima: “Il ricorrente ha nella città di Milano il centro dei suoi interessi personali, qui vive e lavora”. La seconda: l’episodio che ha portato alla denuncia “è stato occasionale e isolato, più legato al contesto caotico in cui si è svolta la manifestazione – che lo avrebbe poi coinvolto in un’azione collettiva più che individuale – rispetto a una sua effettiva pericolosità”.

Detto questo, Romano si è concentrata su due aspetti. Il primo è strettamente legato alla durata del Daspo: 5 anni. Il secondo è collegato al fatto che al ventenne è stata pure inibita la frequentazione – da tre ore prima dell’inizio a tre ore dopo la fine delle partite – di esercizi pubblici nel raggio di un chilometro da San Siro e di stazioni ferroviarie, metropolitane e dei mezzi di superficie “utilizzate dai tifosi” per raggiungere lo stadio.

“La durata e l’estensione del divieto costituisce una gravissima limitazione alla sua libertà di accesso a servizi pubblici e di movimento nella sua città di dimora, evidentemente sproporzionata alle esigenze di sicurezza”, ha messo nero su bianco nell’istanza. Tesi accolta dal collegio presieduto da Antonio Vinciguerra: “Il provvedimento impugnato non sembra rispettoso del canone di proporzionalità, non potendo ritenersi adeguata l’irrogazione della misura edittale massima di 5 anni, nonché il riconoscimento dei connessi divieti di accesso a tutti i locali pubblici dell’area di San Siro e ai trasporti pubblici dell’intera città di Milano”, si legge nelle motivazioni.

In questo modo, hanno aggiunto i giudici, è stata “eccessivamente” compromessa “la libertà di circolazione del ricorrente nel territorio milanese mediante l’utilizzo dei mezzi pubblici in occasione degli eventi sportivi di calcio disputati presso lo stadio Meazza,che, come è noto, vengono fissati anche in giornate feriali in usuale orario lavorativo, così da incidere sulla sua stessa vita lavorativa”.