
Due immagini di Dawda Bandeh, arrestato con l’accusa di aver ucciso il domestico filippino Angelito Manansala
Milano, 26 aprile 2025 – “Era un gran lavoratore, manteneva la sua famiglia. Non so cosa gli sia successo: qualcosa si dev’essere rotto dentro di lui”. A scriverlo in un messaggio, spinto dal desiderio di comunicare che “la persona descritta in questi giorni sulle pagine di cronaca è un’altra rispetto a quella che conosco” è un collega di Dawda Bandeh, il 28enne gambiano fermato la sera di Pasqua dalla polizia con l’accusa di aver strangolato Angelito Acob Manansala, 61enne filippino che lavorava come domestico nella villetta liberty all’angolo tra via Massena e via Randaccio, a due passi dall’Arco della Pace.
Chi è, Dawda Bandeh? Arrivato in Italia appena 14enne nel 2011, era stato accolto in una comunità per minori stranieri non accompagnati in provincia di Como. E nel Comasco – a Bulgarograsso – tuttora risultava domiciliato con la sua famiglia, che evidentemente lo aveva poi raggiunto. Ma lui stesso si è dichiarato senza fissa dimora una settimana fa, il 19 aprile, quando gli agenti delle Volanti lo hanno denunciato per il furto di un ombrello e di un paio di jeans presi dal balcone di un appartamento di via Crema, in zona Porta Romana a Milano.
All’alba di domenica si è arrampicato fino al sesto piano di un palazzo in via Melchiorre Gioia, tra le zone della stazione Centrale e Greco, e per questo è stato denunciato dai carabinieri per violazione di domicilio. Poi, il raid mortale in via Randaccio. Dal 2015 ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. L’unico precedente in banca dati era datato febbraio 2019 e riguardava una guida in stato di ebbrezza; a seguito di quella violazione al Codice della strada, gli era stata ritirata la patente di guida italiana che aveva conseguito in passato. E in passato, guardando le foto che aveva pubblicato suo profilo Facebook, in particolare una risalente a 6 anni fa, lavorava come corriere.
Poi, rimasto senza patente, si è dedicato ad altre occupazioni – “lavorava in una stamperia”, fanno sapere alcuni colleghi – per poi tornare a fare il corriere. In questa storia da “Dottor Jekyll e Mr Hyde“, ci sono 20 giorni di buio. “Ha lavorato sino a fine marzo – continuano i colleghi – poi si era messo in malattia a seguito di un infortunio: si era fatto male a un piede scaricando della merce. Aspettavamo il suo rientro”. Aggiungono che “da gennaio qualcosa era cambiato. Per esempio, prima aveva l’abitudine di postare foto e video sui social, d’un tratto ha smesso. Era più taciturno”.

Esaminando le foto pubblicate su Facebook da Bandeh sembra di vedere un giovane pieno di energie e di sogni, che, arrivato da lontano, voleva costruirsi un futuro. In evidenza ha lasciato un paesaggio con il lago sullo sfondo. Poi una foto di gruppo, scattata insieme a due colleghi. Altre lo mostrano in momenti ricreativi, dentro una sala oppure in un giardino su una poltroncina bianca, abbracciato a un amico. Poi ci sono i selfie, sfondo lago oppure in viaggio, su un treno. Tutte di 5 o 6 anni fa, ma che restituiscono un’immagine completamente diversa da quella attuale, diffusa nei giorni scorsi, in cui il 28enne appare con il volto scavato e gli occhi di chi ha perso ogni speranza. “Qualcosa si dev’essere rotto dentro di lui”, le parole del collega. Tra le foto, anche quelle in cui si allena. L’immagine che aveva scelto come profilo è più recente, risale a dicembre 2023, e in questa ha l’aria soddisfatta, con gli occhi chiusi, protetti da occhiali firmati. In testa, un cappello nero di pelliccia.
La frase con cui si presentava al mondo? “Sii te stesso sempre”. Per il profilo Instagram aveva scelto un altro messaggio: “Always grind”, sgobba sempre. “Success is behind there”, il successo è dietro l’angolo.
Davanti al giudice per le indagini preliminari, Domenico Santoro, che nei giorni scorsi ha convalidato il fermo e disposto la custodia a San Vittore dopo l’interrogatorio, Bandeh ha ammesso di essere stato in quella casa del centro di Milano, di aver mangiato e di avere dormito lì, ma non è riuscito a ricordare nient’altro.
Risuonano nella mente, ancora, le frasi di chi lo conosceva: “Qualcosa si dev’essere rotto dentro di lui”.