
Negri Ma voi due, comici imbianchini sballottati per Milano, siete poi riusciti ad andare in vacanza? Per una volta, come in...
Negri Ma voi due, comici imbianchini sballottati per Milano, siete poi riusciti ad andare in vacanza? Per una volta, come in un vecchio romanzo d’appendice e cistifellea, darò un seguito alla rubrica ultima scorsa. Sì, ci riuscimmo. Intrisi ancora di acqua ragia, andammo ad Alassio in treno, 10 giorni da impiccati a scannarci per una ragazza: scelse prima me, poi mio cugino e poi un terzo corteggiatore a noi del tutto ignoto. Eravamo una generazione dispersiva e romantica, io suonavo la chitarra e mio cugino molto meglio. Corteggiavamo suonando, nessuna originalità: a quei tempi lo facevano anche i babbuini. Comunque una sera, nel giardino dell’hotel, avevo guadagnato punti decisivi presso la bella facendo il De André, sebbene della mutua. Tanto poco bastò: lei mi guardava con occhi innamorati. Si era anche sfilata il braccialetto di peli d’elefante e me lo aveva legato al polso del cuore. Il cugino, disilluso, fissava il mare. Ma all’apice del trionfo ecco che mi arrivò, sciàc, uno sputo sul braccio destro. Uno sputo lasciato cadere forse dal terrazzo. “Chi è quel figlio di...” urlai contro ignoti, destando viva impressione nei villeggianti. Mollando la chitarra e la bella, mi ero lanciato come una furia su per le scale, ma alla quarta rampa, insomma, ragionai. C’era il rischio che lo sputatore potesse essere un energumeno e io non mi fidavo troppo delle lezioni di pugilato per liceali impartitemi a suo tempo dallo zio Ernesto. E così: “Non l’ho trovato” dissi a guardia bassa, ridisceso con molto imbarazzo in giardino. Qualcosa si era spento negli occhi della bella. E il cugino aveva ripreso a suonare. Dal terrazzo non piovve altro, almeno quella sera. Il terzo incomodo stava già spuntando dalla Gallinara, ma era ancora fuori gittata. Tornammo a Milano da nemici, io e il cugino: finimmo il lavoro di imbianchini da separati in ditta, tra mille comici incidenti. Poi facemmo pace: avevamo saputo che lei si era messa col terzo incomodo. Ricominciava la scuola, era l’anno della maturità. Mi ero già liberato del braccialetto: "Quei due peli d’elefante – avrebbe cantato il De André vero – mi fermavano il sangue, li ho dati a un passante".