
Bocciato il ricorso del magistrato Fabio De Pasquale, 55 anni
Fabio De Pasquale resta sostituto procuratore. Almeno per adesso. Ieri il Tar del Lazio ha bocciato il ricorso del pm e confermato la delibera dell’8 maggio 2024 con cui il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di non confermarlo nelle funzioni semi-direttive requirenti di procuratore aggiunto che gli erano state attribuite il 22 novembre 2017. Il "declassamento" è stato disposto a maggioranza dal Csm (con 23 voti a favore) per "condotte oggettivamente connotate da patente gravità" e per la "ritenuta assenza dei prerequisiti dell’imparzialità e dell’equilibrio, per aver reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo, né equo rispetto alle parti, nonché senza senso della misura e senza moderazione".
Come noto, la questione è legata al processo per corruzione internazionale "Eni-Nigeria", terminato con l’assoluzione di tutti gli imputati. "Al ricorrente – si legge nelle motivazioni del verdetto del Tribunale amministrativo – è stato contestato di aver indebitamente omesso il deposito in atti di una serie di documenti contenenti elementi potenzialmente favorevoli alle difese, in quanto idonei a inficiare la credibilità di uno dei coimputati, il quale aveva reso dichiarazioni etero accusatorie a carico degli altri imputati".
Il riferimento è all’avvocato Vincenzo Armanna e agli elementi che ne incrinarono pesantemente la credibilità di "grande accusatore" emersi in un altro procedimento soprannominato "Complotto Eni" in carico al pm Paolo Storari e all’allora aggiunta Laura Pedio. Elementi (messaggi Whatsapp, video e chat false) che Storari segnalò anche "a mezzo di due e-mail, la prima il 15 febbraio 2021 e la seconda il 19 febbraio 2021", allegando a quest’ultima "una bozza di annotazione della Guardia di finanza di Milano che, sulla scorta di elementi tratti dall’analisi dei dati contenuti nel cellulare di omissis (Armanna, ndr), individuava “elementi significativi che, a parere di questa pg, evidenzierebbero la volontà da parte di omissis (Armanna, ndr) di procurare dei testimoni, dietro dazioni di denaro, da far comparire in aula nel processo in questione". De Pasquale e il collega co-intestatario del fascicolo Sergio Spadaro, ricostruiscono oggi i giudici, non depositarono quel documento (così come gli altri), bollandolo in una nota congiunta all’allora procuratore capo Francesco Greco come un "informe compendio di ipotesi ed errate ricostruzioni". Per la vicenda Eni-Nigeria, De Pasquale ha "perso" la carica di aggiunto ed è finito a processo a Brescia, venendo condannato in primo grado a 8 mesi (con sospensione condizionale della pena e non menzione) per rifiuto di atti d’ufficio.
Il magistrato si è opposto al provvedimento del Csm, presentando dieci motivi di ricorso. Tra questi, i suoi legali hanno contestato "che non sia stato preso in considerazione il parere del Consiglio giudiziario, quello del Consiglio dell’Ordine degli avvocati e il rapporto informativo del capo della Procura, i quali avevano espresso una valutazione positiva in merito alla conferma del ricorrente nell’esercizio delle funzioni semidirettive". Per il Tribunale amministrativo, il Csm ha in realtà analizzato tutto, visto che nella delibera vengono richiamati "in modo puntuale" ed "esplicitamente" sia l’iter argomentativo del Consiglio giudiziario sia i rapporti dei procuratori della Repubblica. Detto questo, il collegio presieduto da Roberto Politi ha stabilito che le valutazioni del Consiglio superiore della magistratura sulla "non imparzialità" di De Pasquale non sono né "manifestamente irragionevoli" né "frutto di travisamento". Anzi, hanno trovato conferma pure nelle motivazioni dei giudici di Brescia, che hanno parlato di fatti "di particolare gravità".