Cusano Milanino (Milano) - La prima volta, durante l’interrogatorio di garanzia, aveva fatto scena muta. La seconda si era interrotto a metà racconto. Ieri, invece, Lorenzo D‘Errico ha risposto per ore alle domande sull’omicidio del padre Carmine, ucciso nella loro casa a Cusano e poi carbonizzato in un capannone dismesso di Cerro Maggiore. Mezza giornata di interrogatorio, in cui è stato ascoltato e dai carabinieri della compagnia di Sesto San Giovanni e dalla pm Franca Macchia. Dopo quasi due mesi il 36enne, difeso dagli avvocati Luigi Chirieleison e Romana Perin di Varese, ha aiutato gli investigatori a ricostruire gli eventi di quei giorni: dalle martellate inflitte al padre nella villetta di via della Libertà al cellulare cambiato qualche giorno dopo il delitto. E poi l’auto della fidanzata (che era all’estero) presa e lavata con la varechina, dopo averla usata per trasportare il cadavere a Cerro, dove era stato dato alle fiamme. E il tentativo di sviare le indagini con una vera e propria messa in scena, lucida e calcolata. Nessuna novità rilevante sulla dinamica dell’omicidio, se non la conferma del quadro delle indagini dei carabinieri, che da subito avevano messo in luce le incongruenze nella ricostruzione-fiction che era stata fornita da Lorenzo – anche davanti alle telecamere della trasmissione "Chi l’ha visto?" – per giustificare la scomparsa del padre.
Da quanto emerso ieri sembrerebbe, però, decadere il movente dell’eredità. Sarebbe stato il rapporto teso col genitore a spezzare l’equilibrio già precario della convivenza. Pensionato 65enne, vedovo e malato di un tumore incurabile, Carmine era scomparso la sera del 30 dicembre. Nella storia imbastita da Lorenzo, prima era uscito con un mini bagaglio per andare da alcuni amici fuori regione. Poi aveva iniziato a fare intendere l’ipotesi del suicidio. Il 21 gennaio, nell’ex Brenta di Cerro, era stato scoperto un corpo semicarbonizzato da alcuni ragazzi entrati per girare un video. Ancora il 26 gennaio Lorenzo era davanti alle telecamere Rai per un finto appello. A tradirlo, oltre alle incongruenze, i sistemi di sorveglianza delle case vicine (che lo avevano ripreso mentre si allontanava, dopo aver parcheggiato l’auto del padre), le tracce di sangue trovate in cucina, sul soffitto e sotto al tavolo, il dna del cadavere di Carmine. Per ora non è stata disposta alcuna perizia da parte del magistrato.