Achille Colombo
Clerici*
Tra il 2018 e il 2020 hanno delocalizzato l’attività 594 aziende italiane con più di 50 addetti. Lo affermano Istat ed Eurostat che collocano il nostro Paese al secondo posto nella classifica europea, preceduto dalla Germania (1.028 delocalizzazioni) e seguito da Paesi Bassi, Irlanda e Danimarca. Delocalizzazione vuol dire spostare in altri Paesi processi produttivi o fasi di lavorazione al fine di guadagnare competitività. Le forze politiche vedono con timore tale processo perché significa perdita di tecnologia e di posti di lavoro. Il governo Draghi, per citare, ha previsto per le aziende delocalizzatrici, in taluni casi, severe sanzioni. Ma quali sono state le conseguenze concrete per il Paese? La gran parte delle aziende non ha semplicemente chiuso i battenti e si è spostata all’estero, ma ha trasferito in altri Paesi alcune funzioni, quali la divisione amministrativa, la ricerca e sviluppo, la distribuzione, la logistica. Infatti, più specificamente, in 256 casi sono state trasferite l’amministrazione e la gestione manageriale ( il 43,1% delle imprese delocalizzate, contro il 32,6% di quelle tedesche e il 38,8% di quelle olandesi). Mentre solo in 45 casi medie e grandi aziende italiane hanno trasferito la ricerca e sviluppo. Quali i Paesi scelti di approdo? La maggioranza (409 aziende) altri Paesi UE. 117 aziende altre realtà europee non appartenenti all’Unione. 68 hanno scelto Paesi ben più lontani, la maggior parte la Cina, poi India, Usa. Sono stati persi 4.600 posti di lavoro: una realtà molto meno grave di quanto comunemente si creda. Il nostro Paese è solo quinto in valore assoluto in questa classifica, e molto più indietro in termini relativi rispetto ad altri Paesi Ue più esposti. Parliamo, infatti, dello 0,22% di tutte le aziende con più di 50 addetti, una percentuale inferiore a quelle di Irlanda, Norvegia, Finlandia, Paesi Bassi. Il problema vero è un altro. Le delocalizzazioni italiane non vengono compensate da investimenti di grandi imprese estere che portino in Italia produzioni o funzioni aziendali provenienti da altre aree o completamente nuove. Concordo con chi afferma che più delle leggi che dissuadono la fuga delle imprese, occorrerebbero politiche che rendano attrattivo il sistema Paese. Ma questo è tutt’altro discorso.
*Presidente Assoedilizia