C’è chi lavora al call center e svolge attività di customer care per alcune aziende nel settore dell’energia. Altri invece, quelli dell’officina RiGenera, si occupano della riparazione e rigenerazione di distributori automatici professionali di caffè. Infine nel reparto femminile c’è un laboratorio interamente dedicato ai settori dell’assemblaggio di componentistica e controllo qualità per conto terzi. Sono tutti detenuti e detenute del carcere di Milano Bollate. È qui che dieci anni fa è nata la prima impresa sociale per promuovere il lavoro dietro le sbarre, "Bee 4 altre menti". L’idea era stata di Giuseppe (Pino) Cantatore e Francesco Panzeri. A distanza di dieci anni da quel momento, la cooperativa sociale, oggi, è uno dei principali partner dell’amministrazione penitenziaria a livello nazionale per numero di persone inserite al lavoro all’interno dei luoghi di pena. Dieci anni fa era un progetto di impresa per sua definizione controcorrente: portare lavoro vero, qualificante, capace di promuovere crescita umana e professionale nelle persone all’interno di un luogo di pena. Oggi sono il numero dei detenuti assunti e delle imprese esterne che hanno creduto nella cooperativa, a dire che Pino e Francesco hanno vinto la scommessa. Ieri Bee 4 ha voluto festeggiare questo traguardo raccontandosi, in un convegno. Ma non da sola. Insieme all’amministrazione penitenziaria e alle imprese, House Ambrosetti, Impact International, Eolo Spa, NeN - Gruppo A2A e Sielte Spa. Un circolo virtuoso tra imprese e detenuti. Tra dentro e fuori che contribuisce ad abbassare la recidiva e fa della Lombardia una delle regioni dove il coinvolgimento delle imprese nell’offrire occupazione ai detenuti è triplo rispetto alla media nazionale. "Oggi vogliamo celebrare e rinforzare il modello comunitario di Bollate, attento al lavoro, alle persone e alle sue potenzialità - ha dichiarato il direttore Giorgio Leggieri -. Si raccolgono i risultati dell’impegno di questi anni di operatori, imprese e territorio e si guarda all’orizzonte futuro per rispondere ai nuovi bisogni dei detenuti e della società esterna". Nel carcere modello d’Italia, il lavoro è un tassello qualificante e opportunità di riscatto per tanti. Nell’area industriale del carcere, complessivamente sono 150 i detenuti che lavorano. A questi se ne aggiungono altri 240 che lavorano all’esterno in articolo 21 o semi libertà. E altri 350 che lavorano per l’amministrazione penitenziaria all’interno del carcere. Quando la cooperativa sociale Bee 4 ha iniziato c’era solo un piccolo laboratorio adibito a controllo qualità, nella sezione femminile. Pochi dipendenti. Oggi occupa 100 detenuti che lavorano nell’area industriale del carcere. "La cooperativa sociale è nata da un errore, che è stato fondamentalmente il mio, mi sono ritrovato nel carcere San Vittore a Milano - racconta Pino Cantatore, direttore di Bee 4 - volevo ricostruire la mia vita, la mia dignità attraverso il lavoro. E così ho iniziato, con il primo call center. Poi quando mi hanno trasferito a Bollate ho continuato sulla stessa strada. Noi promuoviamo il lavoro quale strumento per valorizzare il tempo della pena, contribuendo alla costruzione di professionalità e attitudine al lavoro, fattori fondamentali per consentire di cambiare il proprio stile di vita dopo il periodo della detenzione". Il resto è storia recente. Come quando nel 2021 in piena pandemia da Covid la cooperativa sociale grazie alla Fondazione Vismara e al contributo di Regione Lombardia ha portato lo smart working in cella coinvolgendo novanta detenuti al lavoro da remoto con i computer dall’interno del carcere.