"Stiamo dando voce alle donne che non hanno avuto la possibilità di raccontare la loro storia: l’antropologia può completare la nostra visione del passato". E aiutarci anche a riscriverla, se necessario. Come ha fatto il team internazionale guidato da Lucie Biehler-Gomez, 31 anni, ricercatrice paleopatologa del Labanof e del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università Statale, che ha aggiunto un nuovo tassello alla maxi-indagine “Domina“, dedicata alle “Donne Milanesi Nascoste“.
Sotto la lente duemila anni e 492 scheletri della collezione osteologica del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, guidato da Cristina Cattaneo. Al centro di questo viaggio nei secoli c’è la longevità. La ricerca è fresca di pubblicazione su Nature Scientific Report e sfata alcune leggende, come quella del “buio“ Medioevo, visto che - almeno a Milano - un miglioramento della condizione di vita femminile contribuì ad aumentare l’aspettativa di vita delle donne, dai 36 anni dell’epoca Romana ai 40. Non sfugge un’evidenza: i diritti acquisiti - con fatica - dal genere femminile hanno aiutato le donne a superare l’età media di mortalità degli uomini, dopo anni in cui erano molto meno longeve.
Ma riannodiamo i fili della storia: in Epoca Romana l’età media di sopravvivenza per una donna si fermava a poco più di 36 anni, gli uomini vivevano in media circa otto anni in più. Nell’Alto Medioevo il primo sorpasso: 40 anni per le donne e 38 per gli uomini. Nel Basso Medioevo si raggiunge la “parità di genere“ nelle aspettative di vita (poco meno di 40 anni) mentre in Epoca Moderna la forbice si allarga ancora: l’età media di morte delle donne si aggira sui 38 anni, negli uomini sale a 45. Infine l’ultimo sorpasso, sia nella speranza di vita, sia nell’età degli scheletri conservati dal Labanof, che appartengono a individui vissuti nel Ventesimo secolo, tra gli anni Ottanta e Novanta: 69 anni l’età media di morte per le donne, 56 per gli uomini. Perché queste significative differenze di genere? "La vita media di una donna è dipesa dall’interazione di diversi fattori culturali, sociali e biologici – spiega Lucie Biehler-Gomez –: in Età Romana si nota il rischio legato al momento della gravidanza e del parto. In epoche in cui la donna ha avuto maggior assistenza in queste fasi cruciali, come nel Medioevo, l’aspettativa di vita è migliorata". Molta attenzione fu rivolta ai bisogni delle classi medie e basse, si diffusero ospizi per pellegrini e forestieri (xenodochi) come pure ospedali grazie a iniziative private, ecclesiastiche e religiose. Le cronache dall’XI secolo in poi documentano in città numerose strutture rivolte a donne povere, pellegrine, che non potevano allattare. Per capire lo “stallo“ in Epoca Moderna, si deve guardare al lavoro e all’intensificazione dell’industria tessile: "L’aumento del lavoro fisico in settori pericolosi ha probabilmente compromesso la salute delle donne che, oltre a queste attività usuranti, dovevano continuare a dedicarsi alle faccende domestiche e alla cura dei figli", ricorda il Labanof che con la James Madison University statunitense si prepara a scrivere nuovi capitoli, grazie alle storie racchiuse nelle ossa di chi all’epoca non ebbe voce.