Milano – Immaginate di avere alcune carie ai denti e di dover aspettare un anno e mezzo prima di poter essere curati dal dentista. Un anno e mezzo di convivenza forzata col dolore. Un anno e mezzo di convivenza forzata anche con due paure: la paura di arrivare dal dentista con i denti in parte compromessi – perché nel mentre le carie continuano a corroderli dall’esterno e all’interno – e la paura di eventuali effetti indesiderati o collaterali dovuti all’assunzione prolungata, o a tempo alternato, di sedativi ed antibiotici. Questa è la condizione in cui si trovano attualmente Bilal, un ragazzo di 16 anni nello spettro autistico, e suo padre Jilali El Hakkaoui. È Bilal ad avere male ai denti. Sempre Bilal a dover aspettare almeno un anno e mezzo prima di poter essere curato, di potersi liberare dalle carie. Le paure, invece, sono tutte di suo padre. E altrettanto vale per il senso di impotenza. Non un caso isolato, il loro: sono tanti i minori con disabilità in attesa di cure dentistiche. Non una storia personale. Si tratta, invece, di una storia-spia dello stato in cui versano l’odontoiatria pubblica e il DAMA, un servizio prezioso e fondamentale per le persone con disabilità. Tradotto dall’inglese, l’acronimo significa “Assistenza Medica Avanzata per la Disabilità“.
È il 7 ottobre quando Jilal porta suo figlio al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo per quel mal di denti che non dà tregua a Bilal. Padre e figlio, residenti a Sant’Angelo Lodigiano, vengono dirottati dal pronto soccorso di Lodi a quello del San Paolo. Qui vengono diagnosticate “multiple lesioni cariose” oltre ad “accumuli di placca”. A Bilal vengono prescritti un antibiotico, un antidolorifico ed un sedativo. Quindi viene inviato al centro DAMA del San Paolo, come avviene con i pazienti con disabilità non collaboranti. Il DAMA è un servizio interno all’ospedale pensato per garantire le cure alle persone con disabilità, in particolare con disabilità intellettive, comunicative o nello spettro autistico. Chi convive con questo tipo di disabilità ha spesso difficoltà ad accettare il contatto fisico con un medico, con un infermiere o con qualsiasi attrezzo o strumento sanitario, sia esso una siringa o uno dei ferri chirurgici in uso ai dentisti. Da qui la definizione di “paziente non collaborante”. Per superare questo dato di realtà occorrono medici e infermieri capaci di relazionarsi alla disabilità e di somministrare, a seconda dei casi, sedativi e anestetici; di condurre il paziente in narcosi. Questo è quello che accade nei centri DAMA.
Bilal viene visitato il 17 ottobre. La diagnosi non cambia rispetto a quella del pronto soccorso, anzi gli “accumuli di placca e tartaro” ora si fanno “abbondanti” e restano le “lesioni cariose destruenti multiple”. Si rende necessario l’intervento di un dentista che rimuova le carie. Ed è qui che iniziano i problemi. Bilal non collabora, quindi l’intervento può essere messo a segno solo in narcosi e in sala operatoria, non in poltrona. Ad oggi, però, non è stato possibile capire con esattezza quanto tempo debba passare prima che questo ragazzo possa essere liberato dal dolore e che i suoi denti siano preservati. “Il 17 ottobre – racconta il padre – ci è stato detto che la lista d’attesa è tra i due e i tre anni, ma mio figlio non può aspettare così tanto: fa in tempo a perdere tutti i denti. Né può continuare a prendere sedativi, antibiotici e antidolorifici per 2 o 3 anni”.
Cinque giorni più tardi, per l’esattezza il 22 ottobre, chi scrive si presenta al presidio odontoiatrico di via Beldiletto per capirne di più. Pur senza entrare nel caso singolo, nel caso di Bilal, la stima di due o tre anni trova conferma, viene indicata come una stima “plausibile”. È Filippo Ghelma, direttore del DAMA del San Paolo, contattato successivamente, a ridimensionarla. Ma non troppo. O meglio: non abbastanza. “Prima del Covid – spiega Ghelma – la lista d’attesa era in equilibrio, intorno ai sei mesi. Nel biennio pandemico si è arrivati anche a due anni, in alcuni casi persino oltre i due anni. Una volta superata la pandemia, abbiamo dovuto smaltire l’accumulo di emergenze e di arretrati e siamo riusciti a stabilizzare i tempi, siamo tornati ad attese di un anno e qualche mese, massimo un anno e mezzo”. Il problema, però, resta. Sia per Bilal sia per tutti i minori che si trovano nella sua stessa situazione: “L’odontoiatria pubblica e speciale si trova a fronteggiare sempre più richieste ma può contare su poche cliniche pubbliche, perlopiù legate alle università, e andrebbe incentivata con più risorse – dichiara Ghelma –. Nel caso della Lombardia e del San Paolo, prendiamo in carico pazienti da mezza Italia, anche da Roma e dal Meridione, proprio perché un servizio come il nostro non si trova ovunque. La Regione ha già in agenda un piano per moltiplicare i nodi DAMA in tutta la Lombardia, arrivando a quota 29 e rendendo più capillare la rete del servizio: questo aiuterà a ridurre ulteriormente le attese”. Nel frattempo, però, ragazzi come Bilal sono costretti a convivere per mesi e mesi col dolore ai denti e con tutti i fastidi e i disagi provocati dalla presenza di più carie. Unici alleati: collutori a base di clorexidina, antidolorifici e sedativi oltre alle raccomandazioni di buon senso, quali quella di evitare alimenti troppo zuccherati. Quanto all’antibiotico, Bilal da ieri può farne a meno. Sperando non torni a servirgli più avanti, nel caso in cui, in questo anno e mezzo, la situazione dei suoi denti peggiori.