Lucia
Sellitti*
Secondo la nuova definizione di disabilità gravissima, le persone che si trovano in questa condizione sono quelle beneficiarie dell’indennità di accompagnamento e per le quali sia verificata l’esistenza di almeno una delle condizioni contenute nel Decreto Interministeriale del 26 settembre 2016: coma, stato vegetativo, stato di minima coscienza e altre. L’obiettivo di questa nuova distinzione all’interno delle disabilità era sostenere la permanenza al domicilio di queste persone, garantire risposte eque e omogenee, migliorare la qualità di vita promuovendo un percorso di presa in carico globale, centrato sulla persona e sui familiari. Ma ad oggi c’è sempre più la necessità di valutare le disabilità in base all’assistenza che queste richiedono. E la valutazione deve essere fatta caso per caso. La definizione di disabilità gravissima rimanderebbe dunque al concetto di autosufficienza: sarebbe più corretto riferirsi a persone con bisogni complessi e valutare, caso per caso, queste complessità. Nel caso di mia figlia – affetta da diabete adipsico centrale, diabete mellito di tipo 2 e portatrice di altre malattie rare – queste complessità richiedono assistenza continua che, se interrotta, può portare a gravi complicanze o alla morte. Bisogna dunque rivedere i criteri per l’individuazione di queste patologie perché ci sono persone completamente dipendenti da altri, spesso la mamma che, come nel mio caso, per dedicarsi H24 a sua figlia ha rinunciato alla sua vita sociale, lavorativa e di coppia. Questo mi porta anche a chiedermi chi si occuperà di mia figlia se io non dovessi stare bene. E come mai il mio ruolo non è riconosciuto a livello legislativo? È frustrante non poter lavorare e sapere che io per lo Stato non esisto. Il migliore riconoscimento che ho è vedere ogni giorno il sorriso di mia figlia. Ma con questo non posso costruirle un futuro. È stato sollecitato anche il Ministero della Salute, affinché questi criteri siano rivisti e sono anni che genitori ed associazioni lottano per il riconoscimento del ruolo del caregiver: questo è in parte riconosciuto dal decreto 26 settembre 2016 ma c’è ancora tanto da lavorare e queste famiglie attendono da troppo tempo una risposta.
*Madre
di una ragazza disabile
e caregiver