ANDREA GIANNI
Cronaca

Il disastro di Pioltello. Per la Procura i vertici di Rfi “accettarono il rischio di una rottura dei giunti”

Tre vittime nel deragliamento del treno regionale Cremona-Milano nel 2018. I pm: fino a 8 anni e 4 mesi per l’ex ad Gentile e quattro funzionari

I vigili del fuoco durante i soccorsi ai feriti del regionale Cremona-Milano

I vigili del fuoco durante i soccorsi ai feriti del regionale Cremona-Milano

Milano – Rfi, pur essendo destinataria per il periodo 2016-2021 di fondi pubblici per "20 miliardi di euro" di cui "la metà da destinare alla manutenzione", ha "accettato il rischio di una rottura dei giunti". E si sarebbe macchiata così di "slealtà verso lo Stato, verso i lavoratori del servizio ferroviario e anche verso i pendolari che si fidavano dei treni". Il disastro ferroviario di Pioltello non fu "un fatto occasionale legato alla colpa" di "pedine che stavano più in basso", ossia degli operai, "ma la colpa arriva fino all’amministratore delegato" dell’epoca, cioè Maurizio Gentile. E la tragedia si sarebbe potuta evitare anche solo rallentando la circolazione sulla linea, perché "un deragliamento a 50 chilometri orari non avrebbe provocato un disastro di queste dimensioni".

Sono passaggi della requisitoria dei pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti, che hanno ricostruito la catena di responsabilità alla base del disastro di Pioltello nel quale il 25 gennaio 2018, in seguito al deragliamento del regionale Cremona-Milano, morirono tre pendolari (Pierangela Tadini, Alessandra Giuseppina Pirri e Ida Milanesi) e oltre 200 rimasero feriti.

La pena più alta, 8 anni e 4 mesi di reclusione, è stata chiesta per Gentile e per l’ex direttore di produzione Umberto Lebruto. Richieste inferiori, invece, per Vincenzo Macello (7 anni e 10 mesi), allora a capo della Direzione territoriale produzione di Milano, per Marco Albanesi e Andrea Guerini (6 anni e 10 mesi ciascuno), dell’Unità manutenzione. Per tutti sono state proposte le attenuanti generiche, anche in considerazione del risarcimento alle vittime. Tre, invece, le richieste di assoluzione. I pm, inoltre, hanno proposto una sanzione pecuniaria di circa 900mila euro a carico di Rfi, unica società imputata.

Società che, secondo l’accusa, pur essendo destinataria di cospicui fondi per la manutenzione ha accettato il rischio di una rottura del giunto. Non una questione di "risparmi", perché i fondi c’erano, ma piuttosto di standard. "Su quella linea era impossibile una manutenzione efficiente senza interrompere la circolazione – hanno argomentato i pm – ma questo comportava costi che l’azienda non accettava". Resistenze non tanto a fermare il traffico di treni regionali o merci, ma legate piuttosto all’alta velocità perché gli standard dell’alta velocità hanno "una rilevanza estrema sulle posizioni di mercato". Nelle prossime udienze la parola passerà alle difese, mentre la sentenza potrebbe arrivare a inizio 2025, sette anni dopo l’incidente. "Per l’ennesima volta si pretendono condanne per ruoli apicali", spiega l’avvocato Ambra Giovene, legale di Lebruto e Macello. "Le richieste si fondano su un pregiudizio che non dovrebbe mai trovare ingresso in un’aula di Tribunale".