Milano, 14 dicembre 2017 - «Andrò via col sorriso perché vivo nel dolore», dice nella drammatica intervista tivù con le Iene, riproposta ieri in un’aula con rari sorrisi e molta commozione. Sullo schermo scorrono le immagini di Fabiano Antoniani, dj Fabo, il 40enne cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, che nel febbraio scorso riuscì a darsi la morte in una clinica svizzera. Sul banco dei testimoni c’è Giulio Golia, l’inviato d’assalto del programma di Italia 1: «L’incontro con Fabo ha cambiato in qualche modo la mia vita», ammette. Il processo in Corte d’assise a Marco Cappato, l’esponente radicale che aiutò Fabiano nel suo ultimo viaggio caricandolo in macchina e guidando fino a Zurigo - e che per questo rischia in teoria fino a dodici anni di carcere - in realtà somiglia sempre di più al racconto della dolente odissea sanitaria di un uomo che, per le sue stesse parole, amava a tal punto la vita da non poter far altro che distaccarsene quando ha ritenuto che la sua non fosse più tale.
«Prova a pensare di essere nelle mie condizioni anche solo per un giorno», dice dallo schermo Fabo alla iena Golia con grande sforzo, immobile sul letto, il tubo della tracheotomia che lo tortura, occhi spalancati ma sguardo nel vuoto dipinto di nero. «Io vivo di quantità non di qualità, mettiti una benda negli occhi e fatti legare mani e piedi al letto e potrai capire cosa sto provando io. Sono così da due anni e nove mesi, siamo due persone in tutta Italia così, almeno gli altri ci vedono, io vedo sempre nero». Le parole di Fabo, nel filmato, vengono spesso riportate dalla fidanzata per la fatica che l’uomo faceva a respirare. Si vede anche quando l’intervista deve essere interrotta, perché Fabiano ha bisogno che gli venga aspirata la saliva e verso la fine scorrono le immagini di una delle tante crisi della sua dolorosa agonia. Però lui non si abbatte e trova anche la forza di scherzare: «Valeria mi picchiava perché russavo e ora non russo più, guarda come sono conciato» e la fidanzata, riascoltandolo in aula, sorride. «Sono assolutamente convinto della mia scelta - dice ancora Antoniani - la mia vita è insopportabile, è una sofferenza immane, vivo nel dolore di non poter fare una passeggiata, dipendo al cento per cento dagli altri, ma andrò via col sorriso, tutti i giorni ho immaginato quel momento, in tutti i momenti». E rivolto a Golia: «Spero che il vostro servizio non mi metta i bastoni tra le ruote rispetto alla mia scelta, ci rivedremo nell’aldilà». Tocca poi all’imputato Cappato (voluto a giudizio dal gip Luigi Gargiulo, non dalla Procura che aveva chiesto l’archiviazione del caso) ripercorrere i diversi momenti del rapporto con Fabo, la fidanzata Valeria e mamma Carmen, dai primi contatti all’ultimo viaggio a Zurigo.
Le persone «sottoposte a sofferenze terribili con malattie irreversibili», dice, hanno «il diritto di scegliere come morire, è un diritto umano fondamentale e per me era un dovere aiutare Fabiano, sono responsabile di averlo aiutato». Certo invece di non aver affatto «rafforzato il suo intento», come vorrebbe l’imputazione. Fabiano era irremovibile da tempo: «Mi diceva: se non mi aiuti, uno che mi spara lo trovo». Ma in Svizzera, sul letto dove poco dopo schiaccerà con la bocca il pulsante che deve iniettargli il veleno, Fabiano chiama Cappato vicino a sé: «Mi ha voluto ringraziare e al tempo stesso farmi capire che in quegli ultimi istanti voleva restare solo con la mamma e con Valeria. Mi è sembrato sereno».