
Don Virginio Colmegna in una foto storica insieme al Cardinale Carlo Maria Martini
«Si parla tanto di povertà ma spesso ci si dimentica dei poveri. In 20 anni vissuti alla Casa della Carità “Angelo Abriani“ ho sempre messo davanti le persone, la storia di ciascuno. La povertà non va trattata come fatto sociologico ma occorre davvero sentirsi l’altro, non solo accogliendolo ma anche dandogli strumenti culturali. Questo è fondamentale. Il cardinal Martini ci ha chiesto di occuparci degli “ultimi degli ultimi“ e parlava di “sapienza della carità“, legandola sempre alla cultura, ma anche di “follia della carità“, perché occorre inondarsi di coraggio e andare incontro all’altro mentre il mondo cambia e si trasformano anche le difficoltà che la società e le famiglie si trovano ad affrontare". Don Virginio Colmegna, 77 anni, è stato presidente della Casa della Carità fin dalla sua fondazione, nel 2002, e ora lascia il testimone a don Paolo Selmi. In questo luogo di via Brambilla 10, tra i quartieri Crescenzago e Adriano, voluto dal cardinal Martini, solo nel 2021 sono state aiutate oltre 9mila persone. Quasi 500 quelle ospitate. E nell’arco di 20 anni sono passati uomini, donne e bambini di oltre 90 nazionalità diverse. Un mondo in miniatura.
Don Colmegna, com’è cambiata la povertà a Milano in questi 20 anni?
"Più della povertà esistono i poveri, le loro storie. Vent’anni fa l’emergenza riguardava principalmente i campi rom, luoghi periferici di solitudine e abbandono. Noi abbiamo ospitato famiglie rom che venivano sgomberate: ricordo le brande dentro la Casa della Carità. Quelle famiglie oggi vivono dentro case, perché con loro è stato fatto un lavoro culturale. C’era chi per abitudine suonava strumenti musicali e chiedeva l’elemosina per strada: ecco, abbiamo fondato la Banda del villaggio solidale, oggi Orchestra dei popoli. Alcuni ragazzi si sono iscritti al Conservatorio. Ricordo una serata organizzata proprio al Conservatorio, con più di mille persone: è stata fondamentale per colmare le distanze e per far capire che l’opera assistenziale deve essere sempre affiancata da quella formativa e culturale".
E poi?
"È cresciuta negli anni l’attenzione alla sofferenza psichica. Molte famiglie sono in difficoltà perché dei loro cari hanno problemi di salute mentale. Questo ci ha fatti crescere in competenza ed esperienza: alla Casa della Carità abbiamo figure fondamentali come lo psichiatra e altri professionisti. Questo fa capire che oltre all’accoglienza occorre fornire anche cure. La salute è un diritto di tutti, e questo noi lo abbiamo sempre sostenuto, prima ancora che scoppiasse la pandemia. Abbiamo anche fondato la comunità “La Tillanzia“ che ospita donne in condizioni di precarietà socio-economica, che hanno con sé uno o più figli minori. Mamme italiane e straniere, anche vittime di tratta. L’ultima trasformazione legata al contesto è la povertà economica che riguarda sempre più famiglie: vittime di sfratti, schiacciate dalle spese, anche per il pagamento delle bollette. Ed ecco che la povertà è anche occasione di riflessione a livello politico, tocca temi trasversali. Ma non c’è mai “un solo problema“, si incrocia una pluralità di esigenze. E noi stessi ci siamo reinventati negli anni trasformando anche i servizi. Per esempio la raccolta degli indumenti è diventata più mirata alle reali esigenze. Abbiamo ristrutturato gli spazi delle docce. Ciò a cui aspiriamo è la giustizia sociale come elemento fondamentale della società".
Che cosa farà, adesso?
"Farò parte della comunità Son, che significa “Speranza oltre noi“, un’iniziativa nata dall’esigenza di alcune famiglie del quartiere che desiderano promuovere l’autonomia di figli portatori di particolari fragilità. Pensano al “Dopo di noi”, a quando i genitori non ci saranno più, ma anche al “durante“. È una luce di speranza. L’area è nel quartiere Adriano, vicino alla Casa della Carità. La struttura è pronta e presto arriveranno i primi abitanti. Le famiglie cercano un aiuto, un conforto al loro dramma di solitudine, che può arrivare da tutta la comunità. Il luogo sarà aperto al quartiere in modo che si crei un legame. Io andrò a vivere in questa comunità".
Cosa vuole dire al suo successore, don Paolo Selmi, che sarà il nuovo presidente della Casa della Carità?
"Sono molto contento che l’arcivescovo lo abbia designato come nuovo presidente. Con lui ho condiviso tante esperienze, una su tutte l’accoglienza delle famiglie siriane. In questi anni, nei luoghi in cui è stato (dalle parrocchie della Barona a quella di Bruzzano, ndr ) ha saputo creare un terreno che è come quello della Casa della Carità: pieno di speranza. Sono sicuro che continuerà ad accompagnare le persone con lo stesso spirito. E io gli starò vicino".