Milano, 5 giugno 2018 - Per anni è rimasto fuori da San Siro. Eppure il capo indiscusso è sempre rimasto lui: Luca Lucci. Il leader riconosciuto della Sud rossonera, colui che avrebbe diretto dall’esterno la reunion di tutte le anime del tifo milanista un po’ con le buone e un po’ con le cattive, racconta chi frequenta abitualmente il secondo anello blu. Ultrà del Diavolo sin da ragazzino, il 37enne residente in provincia di Bergamo diventa uno dei delfini di Giancarlo «Sandokan» Lombardi, l’ex ras della curva poi convolto nell’indagine per tentata estorsione ai danni della società di via Aldo Rossi. In alcuni atti di indagine, il suo nome viene accostato a famiglie calabresi legate alla criminalità organizzata (ombre identiche a quelle che hanno toccato l’amico capo dei Viking bianconeri Loris Grancini), ma non risulta che tali legami siano mai stati accertati per sentenza. Nel 2009 si rende protagonista di una gravissima aggressione al Meazza durante un derby: è lui a sferrare il pugno che costerà la perdita di un occhio al fan interista Virgilio Motta, poi caduto in depressione e suicidatosi tre anni dopo; per quel raid, Lucci ha scontato la sua pena (4 anni e mezzo in primo grado) parte in cella e parte ai servizi sociali. Nel 2013 torna allo stadio, accolto dallo striscione: «Grande Luca, amico vero, bentornato nostro condottiero!». Un omaggio tanto plateale che in tanti pensano che sia dedicato al calciatore Luca Antonini, rientrato al Meazza da avversario col Genoa dopo una militanza ultradecennale col Milan.
E invece no: c’è solo un «Luca» per i ragazzi della Sud. Quello che ogni giovedì li accoglie al «Clan» di Sesto San Giovanni tra riunioni pre-match e feste ad alto tasso alcolico che, sostengono i bene informati, sono da tempo una delle sue principali fonti di reddito (il resto arriva dal merchandising?). Lucci non è mai sceso dalla vetta che s’è conquistato, spalleggiato dal «Barone» Giancarlo Capelli, nonostante i Daspo in serie l’abbiano tenuto a lungo lontano dagli impianti sportivi. L’ultimo se lo beccò per i fatti di Milan-Parma del 18 marzo 2014, quando gli ultrà contestarono i loro beniamini prima e dopo la partita, chiedendo, nel corso di un turbolento faccia a faccia, più impegno in campo e meno notti brave. Qualche giorno dopo, arrivò la stangata della Questura: 35 denunce per manifestazione non preavvisata, minacce aggravate e istigazione a delinquere.
Accuse poi archiviate dal giudice almeno nel caso di Lucci, peraltro difeso a spada tratta da alcuni tesserati rossoneri dell’epoca, da Christian Abbiati a Nigel De Jong, in un’accorata lettera inviata all’avvocato Jacopo Cappetta. Rispettato pure quel divieto, Lucci è riapparso in curva alla fine dello scorso campionato, con la tifoseria ormai riunita sotto un’unica sigla anche a forza di raid violenti ai danni dei dissidenti dei Commandos Tigre (blitz in trasferta a Genova e sconfinamento al primo anello durante Milan-Juve). Ora l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di droga, con tre acquisti di hashish contestati (uno da 50mila euro, hanno ricostruito gli agenti): «Da una prima lettura degli atti – dice Cappetta – mi pare che la ricostruzione investigativa abbia punti poco chiari. E poi il mio assistito compare solo negli ultimi due mesi in un’indagine di un anno e mezzo, senza aver mai avuto contatti con la stragrande maggioranza degli altri indagati».