Milano – La droga consegnata giorno e notte da cavallini in bici o sui monopattini. Le “palline“ avvolte nel cellophane e nascoste in bocca, da ingoiare nel caso di controlli delle forze dell’ordine. Soprattutto, i “telefoni rossi” che squillavano h24. Due cellulari preziosi usati solo dai capi per comunicare con clienti e sottoposti, che per il loro “lavoro” ricevevano una paga che oscillava tra 60 e 100 euro al giorno, a seconda del turno. E di soldi ne giravano tanti, considerando che i clienti erano non meno "di 50 al giorno" per ciascun gruppo, in cerca di cocaina, hashish e pure ossicodone, la cosiddetta eroina dei poveri.
Funzionavano così, stando alle indagini dei poliziotti del commissariato Bonola diretti da Antonio D’Urso con il coordinamento del pm Rosario Ferracane, le due organizzazioni criminali che si dividevano le piazze di spaccio del quartiere popolare San Siro estendendosi nelle zone a ovest della città fino a San Leonardo.
Due gang smantellate dalla polizia di Stato che ha eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Tommaso Perna nei confronti di 21 persone, di età compresa tra i 21 e i 64 anni, 18 uomini nati in Egitto e tre donne, due italiane e una originaria della Bulgaria. Le donne erano a fianco del ventottenne egiziano Said Shaad, che aveva come base logistica un appartamento in via Tracia: secondo l’accusa dirigeva e coordinava le operazioni di cessione di droga (cocaina, hashish e pure ossicodone).
A gestire il telefono quando lui riposava sarebbero state le donne: la ventiquattrenne Nikoleta Angelova, la diciannovenne Gabriella Iliev e Francesca Fasanelli, di 64 anni. Tutte destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Poi c’erano i sodali e i cavallini. Una collaborazione "di almeno 12 persone".
Dell’altro gruppo erano a capo i fratelli Bakit: Ashraf, detto “Piccolo“o “Baffo“, di 42 anni, e Mostafa Zidan, di 36. Sempre stando alle indagini, il loro punto d’appoggio era un bar di piazza Monte Falterona dove i “dipendenti" ricaricavano anche cellulari e monopattini. I capi in questo caso non agivano da remoto ma presidiavano le operazioni direttamente sul campo, "a stretto contatto con i cavallini".
Un gruppo specializzato nella vendita di cocaina e, all’occorrenza, pure di hashish. Le palline di coca dei loro “ragazzi" erano sempre compatte e avvolte nella pellicola, pronte da deglutire in caso di controlli. Altra particolarità: Ashraf ha sempre evitato di toccare la droga, per mantenersi "pulito". Tanto che l’ultimo arresto in flagranza di reato per essere stato pizzicato con addosso 8 dosi di cocaina, risale a novembre del 2015. E sarebbe stato lui, insieme al fratello, a tenere il telefono per coordinare tutte le compravendite.
Ogni angolo era buono per nascondere la droga da cedere: "Digli di entrare nel balcone vicino alla macelleria, digli di muovere delle cose che sotto ci sono 9 o 10", una conversazione intercettate. In totale, la polizia ne ha registrate oltre 30mila in un mese e mezzo.
Le due bande convivevano nello stesso quartiere e in un’occasione si erano anche unite, arrivando a ferire a colpi di machete un presunto “rivale" di una terza organizzazione. Era successo l’8 aprile dello scorso anno, dopo che il leader Said Shaad era finito in manette (per 275 dosi di cocaina trovate in casa): un suo uomo, Selime Seid detto “Singa“, ed Elsayed Ahmad, del gruppo Falterona, avevano aggredito con l’arma un ventiquattrenne egiziano di un’altra banda, ritenuto dai due colpevole di aver contribuito all’arresto di Shaad. Dopo l’arresto, comunque, il telefono rosso aveva continuato a squillare.