REDAZIONE MILANO

Duke Ellington, novant’anni dopo sul palco sale il nipote Paul Mercer

"L’eredità di mio nonno? Per anni avevo difficoltà a sentire qualsiasi altra musica per non tradirlo". Il trombettista sbarca al Lirico con la sua formazione e rivela: "Meglio il jazz in Europa che in America"

Sono passati novant’anni dal primo tour europeo di Duke Ellington, quando in Inghilterra gli capitò di esibirsi accompagnato addirittura dal Duca di Windsor alla batteria, ma il suono della sua Orchestra rimane ancora un riferimento imprescindibile. Giovedì la formazione è al Lirico, diretta da Charlie Young III, per evocare memorie virate bianco e nero del celebre concerto del 1966. Una macchina da swing di quindici elementi con un repertorio in bilico tra “Satin doll”, “In a sentimental mood” e “It don’t mean a thing (if it ain’t got that swing)”. A tenere le redini dell’impresa di famiglia è Paul Mercer Ellington, classe ’78, figlio del trombettista Mercer Ellington e quindi nipote del sempiterno Edward Kennedy.

Paul, qual è oggi l’eredità di suo nonno?

"Per anni ho avuto difficoltà ad ascoltare qualsiasi altro tipo di jazz perché mi sentivo come se stessi tradendo il ricordo di Duke. Sì, penso che sia un grande riferimento della musica americana. Perfino in un bar in Danimarca, dove sono nato, può capitarti di ascoltare in sottofondo una versione di ‘The Nutcracker Suite’ o sentirla di qualche programma televisivo durante le feste di Natale. Alcuni studiosi ritengono mio nonno il più grande compositore di musica jazz del Novecento e questo carica di responsabilità quel che faccio".

Il suono dell’Orchestra continua a fare scuola.

"Penso, ad esempio, al sassofonista Shelley Carrol che mi ricorda un grande della Duke Ellington Orchestra quale Paul Gonsalves, morto di overdose appena pochi giorni prima di lui. Mio padre gli tacque il lutto per risparmiargli quell’ultimo dolore".

Oggi c’è più jazz in America o in Europa.

"In Europa. E non perché ci sono nato, ma perché festival, teatri e locali ne programmano parecchio; oltre oceano ci sono istituzioni che fanno un buon lavoro come il Lincoln Center o alcune università, ma la situazione non è più quella di un tempo".

Cosa offre lo spettacolo?

"Ho ripreso alcuni pezzi degli anni al Cotton Club, dove il nonno nel ’23 fondò la sua Orchestra, e poi su su fino ai Settanta senza tralasciare classici come ‘Mood indigo’, ‘Take the A train’, ‘Caravan’ e tanti altre per dare vita ad un viaggio lungo più di mezzo secolo".

Ed ora?

"Quest’anno l’Orchestra compie cento anni, ma gli strascichi della pandemia ci spingono a rimandare i grandi festeggiamenti al 2024, quando cadrà il cinquantesimo anniversario della scomparsa di mio nonno. In ballo ci sono un grosso progetto cinematografico e tanti concerti".

Andrea Spinelli