Tecnicamente si chiama "ordinanza interlocutoria", nella pratica è un rinvio della decisione nel tentativo di mediare un difficile equilibrio tra diritti del detenuto e cooperazione fra Stati europei in tema di giustizia. Così la quinta sezione penale della Corte d’appello di Milano ha messo in stand by la decisione sulla consegna alla giustizia ungherese di Gabriele Marchesi, il 23enne attualmente ai domiciliari a Milano, su mandato d’arresto europeo, con l’accusa di "lesioni potenzialmente letali" per aver aggredito due militanti neonazisti a Budapest, poco più di un anno fa, alla vigilia del ’Tag der Ehre’, la Giornata del Ricordo. L’aggressione, a seguito della quale i due neonazi hanno riportato una prognosi di 5 giorni, secondo l’accusa, è stata consumata in concorso con Ilaria Salis che, al contrario di Marchesi, è detenuta in un carcere di massima sicurezza a Budapest.
Il collegio dei giudici Monica Fagnoni, Stefano Caramellino e Cristina Ravera hanno quindi, intanto, rinnovato i domiciliari per Marchesi fino al tempo massimo del 18 maggio e, contemporaneamente, chiesto all’Ungheria se ci sono alternative al mandato di arresto europeo firmato dai magistrati di Budapest. Di questi temi si discuterà durante la prossima udienza, già fissata per il 28 marzo. Entro questa data, la chiave di svolta della vicenda internazionale, dopo il provvedimento interlocutorio pronunciato dalla Corte d’Appello, sarà la risposta della giustizia ungherese ai giudici italiani che chiedono di valutare per Marchesi come misura alternativa al carcere a Budapest, ad esempio, il proseguo dei domiciliari in Italia, sulla base di quella decisione quadro del 2009, che la difesa ha chiesto di applicare ad Ilaria Salis.
La Corte nella sua ordinanza ha fatto specifico riferimento alla normativa europea che consente di applicare durante le indagini e nel corso del processo una misura cautelare come i domiciliari in Italia. La stessa normativa che permetterebbe in questo momento anche a Salis di ottenere i domiciliari in Italia, vedendo allineata la sua posizioni a quella di Marchesi. I giudici nei quindici minuti di lettura della ordinanza hanno riconosciuto le "lacune sostanziali" lamentate dalla difesa (avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini) sulle garanzie della detenzione in Ungheria e hanno sottolineato anche l’importanza di eseguire il mandato di arresto europeo per "la realizzazione di un comune spazio europeo di giustizia".
In linea di principio, hanno spiegato i giudici nel provvedimento che cita ampia giurisprudenza, "bisogna dare esecuzione alle consegne richieste sulla base dei mandati d’arresto europeo, per non creare casi di impunità".
Precisano, però, che spetta all’Italia, in quanto Stato di esecuzione, "garantire che la persona destinataria di un mandato di arresto europeo non sia soggetto né a tortura, né a trattamenti inumani, né a trattamenti degradanti", come sancito da più normative europee. Un timore non scongiurato per l’Ungheria, Paese osservato speciale dalla stessa Unione europea, finita al centro di più report negativi sulle condizioni delle strutture carcerarie, denunciate anche da Salis portata in aula, nell’udienza a Budapest, con le manette ai polsi e alle caviglie e tenuta al guinzaglio dagli agenti di custodia. La Corte, inoltre, nella lettura del provvedimento interlocutorio ha dato atto anche che Marchesi ha sempre rispettato la misura dei domiciliari a Milano, senza che sia stata accertata "alcuna trasgressione".