
Sabina
Sartori*
Sette aprile, ore 8. Ri-torno alla normalità quando esco di casa con mia figlia di 8 anni per ri-accompagnarla a scuola. Sorride, è palesemente emozionata e lascia la mia mano solo quando rivede i compagni. Sono tutti felici, gli occhi brillano. Quei visi sorridenti, quegli sguardi raccontano un mese di lontananza. Un mese in cui sono mancati i giochi, i confronti, le risate e le chiacchierate, sia tra loro che con le maestre. Un mese in cui è mancata la scuola. Corrono, scherzano, hanno visibilmente voglia di stare insieme. "Ciao mamma, ci vediamo oggi pomeriggio". Mi saluta con un bacio e la seguo con lo sguardo mentre ri-entra a scuola, mano nella mano con la sua amichetta del cuore. Sul cancello ci sono ancora i disegni che, non più di tre settimane fa, i bambini avevano appeso con la speranza di poter ri-prendere le lezioni in presenza. "Ce l’abbiamo fatta! Abbiamo ri-dato ai bambini quello che meritano". Sono state parecchie le situazioni in cui mi sono sentita con le mani legate, ma questa volta, l’essere parte attiva del comitato “A Scuola“, mi dà la speranza che qualcosa possa cambiare. E la prossima battaglia è per gli adolescenti: per tutti quei ragazzi, incluso mio figlio maggiore, per cui stamattina la scuola non è ri-cominciata. Per tutti quei ragazzi che stancamente, da più di un anno, seguono le lezioni davanti a uno schermo. Vorrei salutarlo di nuovo la mattina: io sulla porta e lui con lo zaino in spalla. Vorrei vederlo di nuovo entusiasta perché ha imparato una cosa nuova. Vorrei sentirlo ridere di nuovo con i suoi amici. Non posso più accettare che la sua camera sia il mondo "fuori" e il cellulare siano i suoi occhi e le sue parole. Non posso più accettare che per lui, e per tutti i ragazzi dagli 11 ai 20 anni non si riapra la scuola, perché, per loro, vuol dire non riaprire alla vita.
*Mamma