
Il quartiere Adriano, nel quale ha vissuto due mesi Pedro Pantaleone
Milano – Siamo sicuri che il modello di Fuorisalone, così come siamo abituati a viverlo nella settimana del design, pieno di oggetti, appuntamenti, lusso o artigianato, sia l’unico modo di pensarlo e di metterlo al servizio della città, dei quartieri e di chi ci abita? Il design ha necessariamente un risvolto sociale e politico che, se non viene direttamente ragionato e integrato nella progettazione e nelle relazioni, può avere risvolti che impattano negativamente nella città e nella società. Il design ha il potere di affrontare questioni cruciali del nostro tempo, diventando uno strumento di dialogo, inclusione e cittadinanza attiva.
Si possono, quindi, immaginare nuovi approcci di fronte alle sfide urbane imposte dagli eventi globali? Il Nieuwe Instituut di Rotterdam torna alla design week con “Redesigning Design Weeks” in collaborazione con CheFare e con l’ambasciata e il consolato generale dei Paesi Bassi. Curata dallo studio Collective Works, la prima edizione del programma si intitola Civicity. Due designer della Design Academy di Endhoven, in residenza a Milano, hanno condotto uno studio su come ripensare un nuovo modello di Fuorisalone e sono arrivati ad una prima conclusione, che non è la soluzione, ma apre certamente un interessante dibattito sul tema: il futuro sta nel design sociale, o almeno, il design del prodotto dovrà dialogarci parecchio. Strategie site-specific, approccio inclusivo e design critico sono la chiave per interrogare e reinventare la parola “civis: cittadino”, enfatizzando le connessioni tra persone, luogo e participazione per esplorare nuove pratiche che intervengano sulle conseguenze degli eventi su larga scala sull’ambiente urbano.
I due designer sono Pedro Daniel Pantaleone dello studio Method e Pete Fung, canadese, docente di design sociale a Hendhoven. I quartieri su cui hanno condotto lo studio sono Adriano e e Chiaravalle. Uno post industriale e l’altro ancora rurale. Per Pedro Pantaleone che ha analizzato Adriano, una soluzione possibile è “provare ad abitare gli spazi interstiziali che si creano in questi contesti, perché Adriano è stato costruito senza alcun rispetto per la storia e nel culto della individualità”. Costruito per persone che la sera tornano a casa, mettono l’auto in garage e salgono in appartamento senza molta relazione con l’esterno. “Tutto questo culto della individualità salta all’occhio ed è impressionante”, dice.
E aggiunge: “Ci sono, però, germogli di positività, tanto associazionismo, che va coltivato per aiutare chi abita a riprendersi uno spazio che, in teoria, opprime. Coltivare queste associazioni significa riuscire a ricreare una collettività, è importante incanalare le spinte dal basso. Poi è molto importante spostare il focus e l’attenzione sul dopo, sul lascito nella progettazione di un evento come il Fuorisalone. Che non vuol dire controllare le conseguenze di un evento – continua – ma in qualche modo fornire delle infrastrutture che ti danno l’opportunità di raccogliere il lascito delle cose e farne buon uso. Quindi appropriarsi delle conseguenze materiali di un evento che può impattare negativamente e poi riusare il lascito per trarne giovamento in qualche modo”. Chiaravalle, invece, è un luogo ancora “vergine“ rispetto all’impatto di grandi eventi. Resta un luogo dall’anima rurale, percepito come molto lontano da Milano. Pete Fung ci ha vissuto per due mesi, il tempo giusto per riuscire a capire le conseguenze di una medicina come il social design, che lui insegna all’università olandese.
“Ho trovato divertente il fatto che ogni volta che dicevo a qualcuno – ragiona –. Sto andando a Chiaravalle, tutti mi dicevano.. oh no. È lontanissimo ed è in campagna. Oppure ho constatato che molti milanesi non sono mai stati a Chiaravalle. In realtà dista solo quarantacinque minuti con i mezzi pubblici, non è affatto lontana dalla città. È stata un’esperienza interessante – assicura – e ci sono diverse realtà sociali che ci lavorano”.
Che cosa può fare, allora, il design sociale in un luogo come quello? E, ancora, sarebbe sostenibile una design week a Chiaravalle? Per Pete Fung la domanda fa sorgere un’altra domanda, e cioè se veramente abbiamo bisogno di design week organizzate in questo modo, così piene di cose, o se non possano, invece, trasformarsi in settimane organizzate con laboratori, workshop insieme ai cittadini. “Settimane di co-progettazione organizzate coinvolgendo attivamente le persone che effettivamente vivono nei quartieri”.
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