Milano – La classifica cambia di continuo, ma da giorni Milano è sul podio, circondata non dal colore viola - che significa "aria molto insalubre" - ma da un rosso non meno allarmante: "Non salutare". Dietro a Lahore, in Pakistan, e a Chengdu, in Cina, ma prima di Dehli. È la classifica delle città più inquinate stilata da “iQAir”, che fa discutere, da prendere "con le pinze" o, meglio, "da analizzare nei suoi algoritmi per poi affidarsi a dati scientifici". Che, però, non ci dipingono una situazione più rosea: "Dall’inizio dell’anno Milano ha già registrato 22 superamenti della soglia di 50 microgrammi al metro cubo giornalieri", ricorda Luca Ferrero, professore di Chimica dell’ambiente di Milano-Bicocca.
La classifica di iQAir è tornata a fare discutere e a fare arrabbiare pure il sindaco... Qual è la sua attendibilità?
"Può essere utile per avere un’idea generale dell’andamento della qualità dell’aria, ma se ci andiamo a focalizzare su una singola realtà come Milano per confrontarla alle altre città lascia il tempo che trova. I dati visualizzati derivano dall’integrazione di più informazioni: dalle centraline della società, che vende purificatori d’aria, che hanno sensori “smart“: non rispettano la normativa ufficiale per la determinazione delle concentrazioni di Pm 2.5 e Pm10. Bisogna saperli leggere e possono essere influenzati dall’umidità e sono integrati con dati satellitari. Detto questo, ora siamo in un sistema di alta pressione, a condizioni meteo sfavorevoli, e siamo sovraesposti rispetto ad altre realtà".
Cosa ci dicono i dati ufficiali?
"Prendiamo quelli di Arpa, rilevati dalla centralina Milano-Pascal, sito urbano rappresentativo della media cittadina. Se diamo uno sguardo alle concentrazioni medie di Pm 10 si supera il limite: siamo sui 51 microgrammi per metro cubo. Il Pm2.5 è a 35. Valori molto elevati. Che vanno inquadrati su tutto l’anno solare, ma le nostre emissioni e sorgenti sono rinchiuse sempre nel nostro bacino padano".
Non si può spianare una montagna, come propose qualcuno negli anni Settanta...
"Una provocazione, ma in effetti abbiamo una pianura circondata da montagne, ad alta densità abitativa e con una concentrazione di attività agricole, traffico, industria. E dobbiamo pensare non solo alle emissioni primarie di particelle in atmosfera ma ai composti gassosi che reagiscono per via chimica e fotochimica formando particelle che aumentano la massa di particolato atmosferico che inaliamo".
Possibili contromosse?
"C’è molto da fare dal punto di vista sinergico. Cambiare il parco veicolare, gli impianti di riscaldamento, vietare la combustione nei campi porta benefici sul medio termine. Lo step successivo di miglioramento richiede però investimenti maggiori. E ci sono reazioni “a cascata” che si devono tener presenti in un sistema chimico complesso com’è Milano".
Per esempio?
"Durante il lockdown sembrava di sfogliare un libro di chimica dell’atmosfera, a Milano come a Londra. Noi abbiamo fermato le emissioni da traffico ma c’è una retroazione nella città urbana per cui sono aumentate le concentrazioni di ozono. Tutto deve essere visto in modo olistico: se tocco un punto chimico dell’atmosfera devo controbilanciare con l’altro".
Un effetto domino?
"Sì. Che deve essere gestito in un quadro economico e sociale estremamente complesso".
Provvedimenti come Area C hanno ottenuto effetti?
"Dipende dai parametri che prendiamo in considerazione. Basandoci su Pm2.5 e Pm10 diremmo di no, ma perché derivano da reazioni nell’atmosfera che non hanno confini, non si fermano alla porta di Area C. Ma se ribaltiamo l’attenzione e ci soffermiamo sui microinquinanti, spesso cancerogeni, come gli idrocarburi policiclici aromatici, i metalli pesanti e il black carbon... beh questi “dettagli” chimici sono diminuiti sì".