Il viaggio in Iraq per documentare gli orrori della seconda guerra del Golfo, il rapimento, la diffusione di un video e l’esecuzione per mano dell’Esercito islamico. Vent’anni fa veniva sequestrato e ucciso Enzo Baldoni, giornalista, blogger e pubblicitario, volontario della Croce Rossa e traduttore italiano dei fumetti di Doonesbury. I familiari – la moglie Giusi Bonsignore e i due figli, Gabriella e Guido – lo ricorderanno con un momento di raccoglimento privato, con il pensiero rivolto a lui e lo sguardo su un mondo ancora insanguinato dalle guerre.
Baldoni, nato nel 1948 a Città di Castello, in Umbria, si era trasferito a Milano all’età di 20 anni. Una metropoli che è stata la sua casa fino al 2004 ma dove, a differenza di altre città e paesi d’Italia, ancora non esiste una via intitolata a lui. “C’è stata una petizione pubblica nel 2014 e sono state raccolte 14.000 firme, ma da allora nulla è stato fatto”, spiegano la moglie e i figli. “Abbiamo scritto al sindaco Sala un paio di anni fa chiedendo di prendere in considerazione di inserire il suo nome nel Famedio – proseguono – ma non abbiamo mai ricevuto risposta”. Resta l’Ambrogino d’oro alla memoria, conferito nel 2004 dal Comune al giornalista “morto in Iraq come uomo di pace” e sepolto al Cimitero Monumentale, oltre a un auditorium a lui intitolato.
“Lo ricordo con il magone, con l’affetto di un’amica ma anche con una rabbia che non passa”, spiega a Il Giorno Lella Costa. “Nei drammatici giorni del rapimento è stato denigrato da alcuni con parole vergognose – prosegue – ma io non dimentico e non perdono”. L’attrice milanese lo ricorda come una persona “straordinariamente simpatica e non convenzionale, con una famiglia meravigliosa”. Affrontava la vita con “curiosità e attenzione al mondo, in grado di coniugare leggerezza e profondità”, battendosi per la pace e per gli ultimi. “Era una gioia essere sua amica e lavorare con lui – prosegue – e non vorrei che cadesse l’oblio sulla sua figura, a Milano e in Italia. Il suo posto è al Famedio, e colgo l’occasione per rendermi disponibile per una commemorazione pubblica”.
Enzo Baldoni scomparve il 20 agosto del 2004 a Latifia, in Iraq, dove si trovava con accredito del settimanale Diario. Quattro giorni dopo la tv Al Jazeera trasmise un video con le immagini del cronista in cui l’Esercito islamico lanciava un ultimatum di 48 ore all’Italia per lasciare l’Iraq. Il 26 agosto Baldoni venne ucciso dai rapitori e l’immagine del suo volto ormai privo di vita fu pubblicata su un sito riconducibile all’Esercito Islamico. Il corpo del giornalista non venne inizialmente consegnato alle autorità italiane ma i resti sono stati individuati dopo lunghe e complesse ricerche e trasferiti in Italia nell’aprile del 2009.
“Sul suo omicidio ancora oggi c’è buio, lo Stato italiano non ha saputo scavare per trovare verità e giustizia su questo assassinio”, riflette Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Antimafia. “Enzo Baldoni era un giornalista che raccontava quello che vedeva, nelle zone di guerra innanzitutto – prosegue – e per questo venne ucciso”.
Lo scrittore Giacomo Papi, in un lungo articolo pubblicato sul Post, ricorda gli ultimi messaggi scambiati con Baldoni che in Iraq si è “comportato da eroe, cercando di testimoniare quello che accadeva e portando aiuto” alla popolazione. “Non c’è dubbio che le istituzioni italiane abbiano scelto di dimenticarlo. Credo che Enzo Baldoni ne avrebbe riso perché aveva troppo senso dell’umorismo e amava troppo la vita per essere attratto dalle medaglie e dall’ideologia della bella morte”.
Restano i ricordi più cari custoditi dai familiari, che hanno raccolto la sua eredità portando avanti iniziative sociali, come la collaborazione della figlia Gabriella con il progetto Ri-Nascita, per ristrutturare una cascina milanese destinata a donne vittime di violenza.
La lettera della famiglia
Di seguito, la lettera inviata al Giorno da Giusi Bonsignore e da Gabriella e Guido Baldoni.
Enzo non era milanese di nascita, ma Milano è stata la sua casa da quando aveva 20 anni. Oltre a essere uno tra i pubblicitari più importanti degli anni 90 nel corso della sua vita ha sempre investito buona parte del tempo libero per aiutare gli altri. Per molto tempo è stato volontario della Croce Rossa e dedicava i suoi sabati sera ad incidenti stradali e senza tetto bisognosi di assistenza. La stessa Croce Rossa per la quale, anni dopo, in Iraq ha organizzato due spedizioni umanitarie in aiuto di persone (soprattutto donne e bambini) bloccate a Najaf. Proprio in questo luogo, durante la seconda missione, è stato rapito e ucciso.
Tornando al mondo della pubblicità, l’altro modo che aveva trovato per aiutare giovani aspiranti creativi era ospitarli nel suo studio ogni venerdì, per guardare insieme a loro i portfolio, leggere gli scritti e consigliarli sulla strada da percorrere. Spesso incontriamo persone che ci dicono di quanto Enzo abbia cambiato loro la vita, magari facendoli staccare da un lavoro non più voluto per esplorare nuovi lidi. Da questa sua abitudine i colleghi hanno creato “il grande venerdì di Enzo”, una manifestazione che si svolge ormai in diverse città in Italia. Qui grandi direttori creativi per una sera si siedono al tavolo con chi è alle prime armi. Un modo di ricordarlo che a noi piace molto.
Milano gli ha conferito l’Ambrogino d’Oro e c’è un auditorium intitolato a Enzo voluto da Simone Zambelli, all’epoca presidente del Municipio 8 di Milano. Ci sono molte città italiane che hanno intitolato una via a Enzo e anche alcune scuole. Licata, il paese in provincia di Agrigento di cui è originaria parte della famiglia, ha intestato una piazza ad Enzo. A Milano non ancora, purtroppo. C’è stata una petizione pubblica nel 2014 e sono state raccolte 14mila firme, ma da allora nulla è stato fatto. Attualmente Enzo è sepolto al Cimitero Monumentale. Abbiamo scritto al sindaco Sala un paio di anni fa chiedendo di prendere in considerazione di inserire il suo nome nel Famedio, ma non abbiamo mai ricevuto risposta.