Addio alla giudice che, con una sentenza storica, anni fa ha portato alla ribalta il tema dei migranti, dei loro viaggi della speranza e sopprattutto della loro prigionia nei campi lager in Libia dove, tra violenze e torture anche fino alla morte, hanno pagato un prezzo inaudito prima di prendere il mare e raggiungere sui barconi le coste italiane. Si è spenta a Milano a 73 anni Giovanna Ichino, una delle toghe milanesi tra le più stimate e che è sempre stata esempio di equilibrio e rigore. Sorella del giuslavorista Pietro Ichino, prima di iniziare la sua carriera al palazzo di Giustizia milanese, è stata avvocato. Dal 1977 ha cambiato strada e come magistrato ha esercitato funzioni civili, penali e del lavoro in pretura fino a quando, nel 1985, è stata trasferita al Tribunale. Da allora , si è dedicata solo al settore penale: è stata inizialmente in Corte d’Assise poi, all’ufficio gip dove si è occupata in prima battuta dell’inchiesta Mani Pulite.
Dal 1993 al 2003 è stata pm, sempre a Milano, e ha coordinato le indagini come quelle sulle "sponsorizzazioni in tv", sulle tangenti Anas o per le forniture alle mense del comune di Milano. Ritornata a ricoprire funzioni giudicanti in primo e in secondo grado, ha presieduto processi come il caso Unipol, uno dei capitoli dell’indagine sui "furbetti del quartierino", o in appello quello in cui Vanna Marchi e la figlia sono state imputate per truffa. Si è occupata di Cesare Battisti l’ex terrorista dei Pac condannato all’ergastolo, a cui ha concesso di poter usufruire dei benefici penitenziari ed è stata presidente della Corte che nel 2017 ha inflitto, con una decisione di rilievo, il carcere a vita a un giovane di origini somale accusato di aver segregato, stuprato, torturato centinaia di migranti. Alcune delle colleghe che con lei hanno lavorato la ricordano come una giudice "davvero speciale".