CLAUDIO
Cronaca

Era quasi sempre primavera a Molgora River

Il racconto di Claudio Negri descrive la vita quotidiana a Molgora River, un luogo immaginario che evoca Spoon River. Personaggi e atmosfere tipiche della Lombardia si intrecciano in un quadro vivido e suggestivo.

Era quasi sempre primavera a Molgora River

Il racconto di Claudio Negri descrive la vita quotidiana a Molgora River, un luogo immaginario che evoca Spoon River. Personaggi e atmosfere tipiche della Lombardia si intrecciano in un quadro vivido e suggestivo.

Negri

Quando i mattini venivano su belli vispi e tersi laggiù in fondo alla circovallazione, ecco, col senno e gli anni di poi, mi pare che tutti vivessero la loro storia, alta o comune che fosse, in un posto vero. E che tutti si raccontassero già da vivi, per carattere estro o miserie, nella loro Spoon River lombarda. La mia era Molgora River, da un torrentello – ma dal nome femminile, come tanti corsi d’acqua delle mie parti, dall’Adda alle rogge – che lambisce Melzo a mezzogiorno. I mattini venivano su belli vispi, specie di primavera.

Era quasi sempre primavera, a Molgora River. Nel solito, portentoso mattino, vedevo arrivare in bici, col sole in poppa, il fattorino portagiornali e mille altri mestieri, detto Scarseggia. Aveva gli occhi azzurri e indomiti del pescatore jellato di zio Ernest, i bambini dicevano che, con un po’ di impegno, sarebbe stato capace di far nevicare. Certo, non in primavera. Scarseggia offriva la faccia al vento e, forse, la gola al vino. Ma l’uva la preferiva passita, frolla, lasciata a mandorlare tra l’erba alta di un fosso. Il vispo mattino di Molgora River era anche dell’osteria di passo con la beccaccia e l’allodola, mescita evoluta ma non ancora bar, dai vini aspri e gnucchi e qualche aranciata, con l’oste piccolo piccolo dietro l’altissimo bancone. E poi c’era la posteria, che vendeva di tutto come una succursale da Far West, dal latte al veleno per i topi. La figlia della posteria, di profilo, ricordava il viso turrito e repubblicano sul verso delle vecchie cento lire. E poi c’erano i camion della vecchia Galbani e della vecchia Invernizzi (mattanze suine) e il fiato acido dell’altrettanto vecchia Tudor Accumulatori. Piloti di setola rossa, tute blu cagliato ed elettrico. Sfondo sonoro, le sirene che chiamavano al lavoro e di lavoro non ce n’era mai abbastanza. Nell’antologia di Molgora River, ma vent’anni dopo, vedrò uscire da un portone, volando nel mattino con il suo Ciao color latte e menta, una brunetta snella. Poggiava i piedini sull’esigua predella del motorino, con elegante prodezza. E sorrideva al vento che le veniva incontro. A me, guarda caso, quel sorriso parve il più bello mai visto. Ed era proprio così.