Milano – L’eredità di Erminio Vittorio Carloni è l’obbligo del giubbotto antiproiettile per le guardie giurate impegnate in servizi antirapina o nel trasporto valori. Quel presidio per la sicurezza sul lavoro, al centro delle sue battaglie sindacali, che avrebbe potuto salvargli la vita quando la mattina del 18 novembre 1982, 42 anni fa, due terroristi neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari tentarono di rapinare, per autofinanziarsi, la filiale milanese del Banco di Napoli.
“All’epoca avevo 20 anni, ero stato appena assunto dalla Mondialpol e, subito dopo aver firmato il contratto, mi sono iscritto alla Cgil”, ricorda Salvatore Bognanni, un suo ex collega. “Lui era il nostro delegato sindacale – prosegue – era un punto di riferimento in un’epoca in cui una guardia poteva rischiare ogni giorno la vita. Una persona corretta, che faceva l’interesse dei lavoratori. Si batteva perché l’azienda ci dotasse di giubbotto antiproiettile e autoradio”.
Salvatore, gli altri colleghi e i funzionari della Filcams-Cgil di Milano ogni anno, il 18 novembre, lo ricordano davanti al ceppo in viale Zara 106, luogo del tentativo di rapina finito nel sangue. Una commemorazione intima, con una rappresentanza dell’azienda della vigilanza, che ieri ha fatto riaffiorare i ricordi degli abitanti del quartiere. “Quel giorno stavo accompagnando mio figlio a scuola – racconta un residente – e ho visto il suo corpo a terra, agonizzante, riverso sul marciapiede”.
Carloni è una vittima del terrorismo a cui è stata negata la civica onorificenza alla memoria perché, si legge nelle motivazioni con cui nel 2011 il Viminale respinse l’istanza presentata dalla Filcams-Cgil, questa può essere attribuita solo “al coniuge superstite, ai figli, ai genitori, ai parenti e agli affini entro il secondo grado”. Lui, però, nato a Padova nel 1945, era solo al mondo. Rimasto orfano da piccolo, era cresciuto in Argentina da parenti di cui si sono perse le tracce. In Italia, dove era tornato all’età di 26 anni, non aveva legami. “Abbiamo adottato noi la sua figura – spiega Vincenzo Quaranta, funzionario della Filcams-Cgil di Milano – per la nostra organizzazione, non avendo parenti in vita, è un po’ come un figlio. Cerchiamo di curare la sua tomba, di portare avanti la memoria. Carloni è morto da eroe, con la sua reazione ha impedito il piano dei terroristi, e l’Italia dovrebbe dedicargli l’onorificenza che merita. Se ci fossero i margini si potrebbe riprendere quell’iniziativa, nata grazie all’impegno di Guido Salvini, per un riconoscimento che avrebbe un valore simbolico”.
Fu infatti l’ex magistrato milanese, nel 2007, a contattare la Cgil parlando ai sindacalisti di una storia su cui per anni era caduto l’oblio. Suo padre, il giudice Angelo Salvini, era stato presidente della Corte d’Assise che nel 1987 condannò in contumacia i due rapinatori: il latitante Pasquale Belsito (arrestato poi a Madrid nel 2001) e Stefano Soderini, componenti dei Nar di Mambro e Fioravanti. Guido Salvini propose quindi al sindacato di chiedere al ministero dell’Interno, facendo le veci dei parenti di Carloni, l’onorificenza alla memoria. Istanza, a cui si unì anche il Comune e l’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter), che fu però respinta proprio per l’assenza di familiari in vita. E la commemorazione, in una Milano immersa nella nebbia, è l’occasione per ricordare la storia.
La mattina del 18 novembre il 37enne Carloni è in servizio con il collega e amico Bruno Lombardi quando, di fronte alla banca, arrivano due giovani con una borsa e un soprabito sul braccio. “Stai fermo” gli ordinano. Ma lui e il collega non alzano le mani, reagiscono. Un bandito spara un colpo ferendo Erminio al ventre, mentre Bruno risponde al fuoco da dietro una macchina. Uno dei due terroristi estrae quindi un mitra e colpisce Carloni, uccidendolo. Poi i due terroristi scappano, rinunciando alla rapina. “Quel giorno ero in servizio all’ortomercato – ricorda Salvatore Bognanni – quando abbiamo saputo che il nostro delegato sindacale era stato ucciso così ci è crollato il mondo addosso”.