
Milano, esplosione in piazzale Libia
Milano – Piazzale Libia, civico 20, zona borghese di Milano. La mattina del 12 settembre di cinque anni fa, un’esplosione devastò parte del palazzo. Le fiamme partirono dall’appartamento al piano terra abitato dal barman ucraino di 30 anni, Adam, che rimase per mesi tra la vita e la morte. Il giovane barista fuori pericolo, con gravi ustioni alle mani e a una gamba, difeso dall’avvocato Luigi Isolabella, ha poi avuto la forza di partecipare alle udienze del processo.
Sono stati anni difficili per il 30enne, la situazione psicologica non gli ha consentito di ricordare tutto e di rendere dichiarazioni lucide e coscienti su quanto è successo quel giorno. Solo dopo un lungo percorso di riabilitazione, sia fisica che psicologica, ha aiutato gli investigatori a ricostruire una parte di quanto successo, tra i molti non ricordo, dovuti allo choc.
L’eplosione distrusse quasi tutto l’appartamento, il boato fortissimo fu sentito in tutto il quartiere. Per Adam, a distanza di cinque anni, è arrivata la sentenza che lo ha condannato a un anno e mezzo, pena sospesa per incendio doloso. Secondo la ricostruzione che è stata fatta dagli investigatori, anche sulla base della perizie, fu lui in un momento di grave depressione ad accendere l’innesco che provocò l’esplosione.
O meglio, il giovane - stando a quanto è stato appurato dai tecnici - avrebbe manomesso il tubo del gas in cucina. Poi, forse pentendosi, quando la stanza era satura, avrebbe cercato di spegnere il gas ma, forse intontito, avrebbe in qualche modo innescato la scintilla da cui è divampato l’incendio, accendendo inavvertitamente una luce.
Il pm Mauro Clerici, anche sulla base delle conclusioni a cui erano giunti gli esperti, e considerato che l’esplosione non provocò né morti né altri feriti, non ha contestato al ragazzo l’ipotesi di strage, ma quella di incendio colposo. Adam, barman di professione, era da qualche mese responsabile di sala al Martini Bistrot di corso Venezia 15.
Infanzia difficile in un orfanotrofio dell’Ucraina, il ragazzo approdò a Lodi grazie a una coppia che gli permise di studiare. Nel privato, aveva interrotto da poco una burrascosa convivenza con il suo compagno per via di frequenti liti che avevano anche reso necessaria per Adam qualche medicazione al pronto soccorso, a cui però non erano mai seguite denunce.
Alti e bassi che lo facevano soffrire. Fino a pensare al suicidio. In ospedale, quando si riprese un po’, ricevette per qualche minuto la visita di Aly Harhash, l’uomo che quel giorno lo soccorse, salvandogli la vita. Il 61enne di origine egiziana, che gestisce una piccola ditta di pulizie e piccole ristrutturazioni, fu il primo a trovarsi sul posto e non ebbe esitazioni a prendere due coperte dal suo camion e poi a entrare nell’abitazione invasa da fumo e fiamme. L’appartamento rimase sotto sequestro per oltre un anno, anche per aiutare i periti a fare rilevazioni che potessero contribuire a ricostruire il più esattamente possibile quanto successe quella notte.