
Federica Bona e Veruska Composto
Milano, 5 maggio 2018 - Una stanza luminosa, nove ragazze concentratissime si muovono con eleganza sulle note di un pianoforte. Mancano poche settimane al 26 maggio, il giorno in cui riceveranno il diploma della Scuola di ballo all’Accademia del Teatro alla Scala e meno di un mese allo spettacolo che porteranno al Piermarini l’8 e il 10 giugno. Ogni allievo sa di avere una sua storia, un talento da esprimere. Veruska Composto e Federica Bona sono nate a Palermo nel 2000, figlie uniche entrambe. Hanno frequentato la stessa scuola di danza “Aurino&Beltrame”, diretta da Candida Amato, eccellente insegnante che le ha condotte verso i primi concorsi e oggi sono qui, alla Scala. La vita di Veruska è cambiata da un giorno all’altro quando ha vinto una borsa di studio che le ha permesso di trasferirsi nella città ambrosiana. Federica ha partecipato ad alcuni stage ad Amburgo e Londra e poi è approdata a Milano, attualmente vive in un convitto. Occhi scuri, capelli raccolti e il sorriso sereno di chi sa che sta chiudendo una pagina della propria esistenza per aprirne un’altra, definitiva, quella della professione.
«A tre anni non sapevo cosa fosse la danza ma mi muovevo ogni volta che sentivo la musica, a cinque ho iniziato a studiarla e ho subito capito cosa sarei stata da grande: una ballerina». Veruska ricorda i lunghi viaggi in auto con la mamma per raggiungere la scuola di danza lontano da casa: «A dieci anni mi avevano già proposto di venire a studiare alla Scala, ma ero troppo piccola, sono figlia unica e non volevo separami dai miei. Ho continuato a studiare con determinazione, passione finché, durante un concorso il maestro Olivieri, all’epoca direttore dell’Accademia, mi ha notata, ho superato l’audizione e sono venuta qui. Da allora ho sempre ricevuto un sostegno per poter frequentare la scuola (nell’ultimo anno da parte dell’Associazione Proscaenium di Gallarate ndr). «Mi sono subito sentita smarrita, a Palermo mi accompagnavano sempre mamma e papà, qui ero sola, per la prima volta. Oggi condivido un appartamento con un’amica». Non tutte nascono con il pallino della danza. Federica racconta: «Sono arrivata a Milano a dieci anni, l’età in cui ho scoperto di avere realmente una passione per la danza. Prima frequentavo i corsi senza dare eccessiva importanza. Credevo di non essere portata, era una bambina grassoccia, mi sentivo goffa; poi improvvisamente ho percepito la gioia di ballare, stavo crescendo».
La giornata di un’allieva, nell’anno del diploma, è durissima. Sveglia alle sette e trenta, la lezione in Accademia inizia alle nove. «Arrivo quaranta minuti prima per eseguire gli esercizi di riscaldamento – prosegue Veruska –. Iniziamo con una lezione di classico, poi di punte, repertorio, passo a due e danza contemporanea. Finisco verso le quattro e poi vado al liceo Manzoni, dove resto, per due giorni alla settimana, fino alle nove e venti di sera. Quando ho scelto il liceo linguistico pensavo di iscrivermi all’università ma strada facendo la danza è diventata totalizzante». Al liceo, peraltro, i danzatori non godono nessuno sconto: studiano come gli altri e al diploma di danza si aggiunge la maturità.
Le ragazze si esprimono in sintonia, senza sovrapporsi nel discorso. Sono abituate e lavorare insieme, fra loro non c’è competizione e in fondo nemmeno con le altre allieve: «Stiamo tutte facendo lo stesso percorso, anche di vita: molte di noi vengono da altre città, i nostri genitori sono lontani e questo ci fa sentire più affiatate. Non provo invidia nei confronti delle mie compagne, quando ballo cerco sempre di superare me stessa», dice Federica. Sono unite anche dalla nostalgia per Palermo, per il mare e, soprattutto, i genitori; le lunghe telefonate che si fanno ogni sera prima di dormire non bastano. «So che anche a loro manco tantissimo e quando ci sentiamo cerco di essere positiva: mi piace raccontare cose piacevoli, a volte buffe», confida Veruska. I momenti di relax sono pochi: una passeggiata, l’ascolto di musica dalla classica al pop al rock, nessuna distinzione. «Amo leggere, quando lo studio me ne dà tempo leggo Harry Potter, rigorosamente in inglese – aggiunge Federica –. Queste ultime settimane stanno diventando il riassunto di tutto ciò che abbiamo imparato all’Accademia, di tutte le emozioni, le gioie e le paure vissute».