
Eugenio Costantino in una foto scattata dagli investigatori
Milano, 30 giungo 2017 - Definirsi "calabrese" non basta per guadagnarsi lo status di mafioso con relativa aggravante in caso di condanna. In sintesi, la motivazione che ha spinto la Cassazione ad accordare una riduzione di pena a Eugenio Costantino per il caso del sequestro di un commerciante di preziosi. Ripartiamo dall’inizio. E soprattutto dai protagonisti di questa storia. Il primo è proprio Costantino, arrestato dai carabinieri il 10 ottobre 2012. È l’operazione "Grillo Parlante", quella che porterà in carcere pure l’allora assessore regionale alla Casa Domenico Zambetti con l’accusa di voto di scambio (a febbraio la condanna in primo grado a 13 anni e 6 mesi).
Costantino, nell’ipotesi della Dda, è il presunto ambasciatore della cosca Di Grillo-Mancuso, anche se il diretto interessato ha sempre negato la sua affiliazione: «Non ho proprio un’idea di cosa sia la mafia, secondo me non esiste». Tra gli episodi contestati, c’è pure il sequestro di Mauro Galanti, un commerciante di gioielli che nel 2011 truffò Costantino, titolare di Compro oro, vendendogli pietre sintetiche spacciandole per autentiche. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il raggirato si vendicò sequestrando Galanti e facendogli passare una notte di terrore, salvo poi liberarlo la sera dopo dietro pagamento di 1.800 euro. Per quel sequestro, Costantino e il complice Ciro Simonte (più altre persone) verranno condannati in primo grado rispettivamente a 16 anni e 14 anni e 3 mesi con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso; verdetto confermato in Appello. E arriviamo in Cassazione. La difesa di Ciconte (e non quella di Costantino) chiede di eliminare l’aggravante mafiosa, riconosciuta nei precedenti gradi di giudizio in virtù del fatto che «in plurime occasioni i soggetti attivi della vicenda avevano richiamato apertamente la loro provenienza regionale affermando di essere “calabresi”, inducendo quindi il Galanti in particolare timore proprio per questa specifica ragione che dimostrava l’appartenenza degli imputati a gruppo “di elevato spessore criminale”». Di parere opposto la Cassazione, che tiene a sottolineare che «la semplice indicazione anche ripetuta di provenienza geografica e regionale, nella specie quella “calabrese”, non accompagnata in realtà da alcun comportamento materiale specificamente e dettagliatamente riferibile a quelli indicati nell’articolo 416 bis (associazione di tipo mafioso, ndr), non è elemento sufficiente per dare vita all’aggravante». Risultato: stessa pena per Ciconte (al quale erano già state riconosciute le attenuanti), pena diminuita a 11 anni, un mese e 10 giorni per Costantino.