
Rilievi della Scientifica sul luogo dell’agguato in via Creta
Milano, 20 novembre 2021 - Due indagini in parallelo . Da una parte quella della vittima del tentato omicidio, che dal letto di ospedale ha ricostruito la genesi dell’agguato e individuato i colpevoli grazie ai report di parenti e amici. Dall’altra quella ufficiale della Squadra mobile, che invece ha dovuto aggirare il muro di omertà eretto tra i fatiscenti casermoni di via Creta. Alla fine, sia il venticinquenne L.Y.L. (già scampato a un agguato nel 2020 e fratellastro di Mattia Bertelli, gambizzato in via Lucca nel 2017) sia gli investigatori sono arrivati alla stessa conclusione, seppur percorrendo strade diametralmente opposte: a sparare, in quella sera di fine estate, fu il diciannovenne Raimondo Caputo, nativo della pugliese Margherita di Savoia ma domiciliato nei palazzi popolari di viale Aretusa a San Siro; a commissionargli l’imboscata furono il ventisettenne Kevin Giovanni Raineri e il trentaquattrenne Fabio Di Salvo.
Il raid, nell’ipotesi degli agenti guidati dal dirigente Marco Calì e dal vice Alessandro Carmeli, è stato pianificato e portato a termine per regolare i conti legati allo spaccio nella zona di Forze Armate. Ieri mattina i tre sono stati arrestati, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Lidia Castellucci su richiesta dell’aggiunto Laura Pedio e del pm Monia Di Marco: Caputo è stato bloccato nella città natale, a casa dei nonni, mentre i due presunti mandanti sono stati catturati nell’area in cui vivono abitualmente; inoltre, i poliziotti della Mobile, con l’ausilio dei colleghi del Reparto prevenzione crimine e delle unità cinofile, hanno perquisito otto appartamenti a caccia di armi e droga (e per far passare il messaggio che via Creta non è un’enclave inespugnabile). L’inchiesta scatta alle 23.31 del 29 agosto scorso, quando dal pronto soccorso dell’ospedale San Carlo chiamano il 112 per segnalare la presenza di un ragazzo ferito al fianco sinistro da un colpo di arma da fuoco. L. è cosciente e lucido, ma alle forze dell’ordine racconta una storia a dir poco strampalata (che gli costerà pure un’accusa di favoreggiamento), provando ad accreditare la pista del litigio casuale con uno sconosciuto dopo una serata trascorsa in un ristorante cinese con fidanzata e suocera.
«Tutto a un tratto – mette a verbale – è passato di fianco a me un ragazzo che non ho mai visto prima, alto circa 170/180 centimetri, castano scuro, senza barba, corporatura magra, al quale, senza alcun motivo se non quello che ero sotto l’effetto dell’alcol, ho tirato uno schiaffo sul volto o sulla nuca chiedendogli a voce alta le testuali parole: “E tu chi c. sei?”. Non so dove sia andato il ragazzo che ho colpito, ma dopo pochissimi istanti ho sentito due colpi di pistola e ho avvertito un dolore strano alla gamba sinistra". E invece il venticinquenne – che rischia di dover fare i conti per tutta la vita con le lesioni provocate dal proiettile calibro 9x21 – conosce benissimo sia chi ha premuto il grilletto sia chi gli ha ordinato di farlo. I segugi della Omicidi hanno solo un nome, anzi un soprannome: "Dodo". Così viene abitualmente chiamato Caputo, che tra le 21 e le 22 di quel giorno ha postato un video su Instagram che mostra lui e un’altra persona a bordo di un T-Max. Chi è? Di Salvo, origini palermitane, proprietario di uno scooter identico acquistato due giorni prima per 12mila euro e misteriosamente rivenduto il 12 settembre: è lui, stando a quanto risulta, il capo della batteria di spacciatori che ha assoldato "Dodo" per uccidere il rivale. Conferme arrivano dalle telecamere di videosorveglianza, che tra le 22.59 e le 23.01 (poco dopo la sparatoria) immortalano la corsa di Caputo (e del terzo uomo Raineri) tra via Saint Bon, via Zurigo e la fermata Inganni del metrò.
Gli investigatori appurano pure che il pomeriggio del 30 Caputo, dopo essere passato da casa per cambiarsi e aver trascorso la notte in un b&b di via Achille, è salito sul treno Italo partito dalla Centrale alle 15.40 e arrivato a Barletta alle 23.36. Lì il diciannovenne ha scelto di rifugiarsi, senza far troppo mistero del motivo della fuga improvvisa: "Senti a me, senti a me... ti faccio no... l’omicidio che ho fatto a Milano peggio! Vedi cosa ti sto dicendo al telefono! Faccio di peggio", le minacce alla ex intercettate il 22 settembre. Altre conversazioni captate dalla polizia chiariscono pure il movente del blitz armato: "Eh ma fra’ perché io ormai cinquanta grammi al giorno facevo, davo fastidio", è la confidenza che L. sussurra a un amico, facendo chiaramente pensare a uno scontro in corso tra pusher di coca. Già, la coca, che in via Creta chiamano "birra", "ragazza" e "giga" e che è ancora una volta alla base dell’infinita faida all’ombra dei portici.