Milano – Fefè, all’anagrafe Raffaele Di Donato, ha 29 anni ed è conosciuto come ‘il barbiere del Blocco’: lavora in un salone da martedì a sabato e, nel tempo libero, taglia gratis i capelli nelle periferie, nei “blocchi“ di Milano, regalando anche una chiacchierata.
Sotto il cappellino rosso, il suo portafortuna, vede un mondo a colori in cui ogni sfumatura è preziosa. E i giovanissimi fanno a gara per essere tra i suoi ‘client’. In una società frenetica, in cui sembra esserci sempre meno spazio per l’ascolto, perché ascoltare significa fermarsi, Fefè va controcorrente. “La comunicazione è importante”, “azzerare la vergogna”, “andare a fondo” e “imparare anche dai più piccoli”: ecco i pilastri su cui regge il suo progetto.
In cosa consiste il suo format?
“Kit da parrucchiere, telecamera e voglia di “dar voce ai più fragili”, giro per Milano, e non solo, taglio i capelli in strada a chi vive nelle periferie e, nel mentre, di sforbiciata in sforbiciata, raccolgo i racconti di vita, filmo le interviste e le pubblico sui social. Storie uniche. Le pubblico affinché chi le ascolta possa rivedere se stesso. Alla fine, consigli per lasciare una speranza: dopo la tempesta c’è sempre il sole”.
Si parte dalla cura della persona per arrivare ad altro, di più profondo?
“Sì. L’intenzione è prendersi cura delle anime, raccogliendo storie e dando voce alle fragilità. All’inizio non è stato facile creare questi legami. Ma ora i ragazzi mi considerano come un fratello maggiore, sentono che posso fidarsi di me”.
Il trucco per creare empatia?
“La spontaneità”.
Ma come nasce questo progetto?
“Dopo la pandemia mi sono reso conto che i clienti tornavano in negozio “zitti e tristi“ sotto la mascherina”. Da qui la mia missione: scongelare con l’affetto
la freddezza portata dal Covid”.
E con Diego, il suo video maker, ha iniziato a girare per le strade?
“Esatto. Tante storie mi hanno arricchito. Da quella di Nelson, un ragazzo in sedia a rotelle incontrato al porto di Genova, a quella di Diana, una giovane donna che dentro i suoi occhi tristi porta il dolore di aver perso un figlio. Ricordo pure una ragazza a Monza che provava vergogna per la sua omosessualità. Le ho regalato un libro: “La sottile arte di fare quel c... che ti pare”. Non scorderò mai la voce di un bimbo di 7 anni che mi disse che la madre era deceduta. Né quella di una giovane scappata di casa perché la madre aveva grossi debiti per droga. Un legame speciale, poi, mi unisce a un ragazzo con disabilità e alla fidanzata. Mi sono reso conto di un grande problema, nell’educazione: l’assenza di comunicazione. E ho esteso il mio progetto nelle scuole”.
In che modo?
“Il modello è lo stesso: taglio di capelli e, nel mentre, la persona si spoglia delle proprie insicurezze. I ragazzi, davanti a tutti i loro compagni, parlano dei loro problemi, anche delle dinamiche di bullismo ed esclusione. Si sentono protetti e sono liberi di esprimersi quando c’è Fefè. Con gli insegnanti è più raro. Ho portato il format anche alla comunità Kairos di Vimodrone, che accoglie minori in difficoltà. Molti genitori mi contattano per ringraziarmi: i miei filmati sono un punto di contatto intergenerazionale.
Ora cosa sogna?
“Vorrei aprire dei centri per togliere i ragazzi dalla strada, punti di incontro dove possano sentirsi liberi di esprimersi. Luoghi in cui giudizio e negatività vengono azzerati, dove non esistono bullismo ed esclusione ma uguaglianza e dialogo. Spazi che invoglino a perseguire obiettivi, in cui la voglia di riscatto conduca davvero a un cambiamento”.
Il pilastro di questa idea?
““Se ti senti zero, tu sei cento”. Desidero che nessuno si senta
abbandonato a se stesso. Un pensiero che condivido con Artie 5ive, amico rapper”.