Luca Tavecchio
Cronaca

Fenomeno ronde “anti-maranza“: "Difesa della Patria? Solo una scusa. Assetati di violenza e visibilità"

L’analisi di Ernesto Savona, direttore di Transcrime, sulle squadre che danno la caccia a presunti criminali "Approfittano dell’allarme sicurezza, smentito dai dati ma amplificato da social e mezzi di comunicazione".

Le immagini dell’aggressione a un presunto borseggiatore sui Navigli, “firmata“ da Articolo 52

Le immagini dell’aggressione a un presunto borseggiatore sui Navigli, “firmata“ da Articolo 52

"Articolo 52 e queste presunte squadre anti criminali che stanno spopolando sui social? Non vedo differenze con i “maranza” contro cui dicono di combattere. Sono l’altra faccia della stessa medaglia". Secondo Ernesto Savona, direttore di Transcrime, il centro di ricerca interuniversitario dell’Università Cattolica che analizza i fenomeni criminali, non c’è un’interpretazione delle ronde ispirate dal "sacro dovere di difendere la patria" che possa richiamare il disagio o l’impotenza di fronte all’allarme sicurezza.

Professore, quindi maranza e anti-maranza sono in pratica la stessa cosa?

"Il denominatore comune è la violenza. Detta in parole semplici, c’è voglia di menare le mani. Questi sedicenti “giustizieri“ hanno trovato la scusa di voler ripulire la città. Ma è appunto una scusa. Oltretutto utilizzando un articolo della Costituzione che non c’entra nulla e addirittura aprendo un conto corrente estero, a dimostrazione di quanto poco idealismo ci sia dietro questa operazione. Hanno trovato un modo per darsi una “copertura” da buoni che si contrappongono ai cattivi. Ma la logica che c’è dietro alle loro azioni non è diversa da quella dei giovani criminali".

In che senso?

"Possiamo chiamarla “socializzazione della violenza”. La violenza cioè si alimenta e si diffonde attraverso la sua condivisione, che avviene soprattutto tramite i canali social. Queste persone si riprendono con gli smartphone mentre compiono le loro azioni. Trovano senso in quello che fanno solo nella sua rappresentazione video e nella condivisione attraverso la rete. Esattamente come fanno i criminali che si riprendono mentre compiono un’azione violenta o i giovanissimi che realizzano filmati delle risse o delle aggressioni".

Non vede quindi in queste ronde una reazione, per quanto sbagliata e pericolosa, a una minaccia reale come quella della criminalità a Milano?

"No, innanzitutto perché i dati oggettivi ci dicono che i reati sono in costante diminuzione negli ultimi anni. Se prendiamo la Milano di 15 anni fa c’erano molti più reati rispetto a quella di oggi. Se si guarda ai numeri i crimini sono diminuiti. L’allarme che viene continuamente rimbalzato dai mezzi di comunicazione e dai social è legato alla percezione della sicurezza. Che, appunto, si alimenta non con dati oggetti, ma con la moltiplicazione informativa. Semmai, l’aspetto preoccupante è un altro".

Quale?

"Che i reati sono meno in termini numerici, ma sono sempre più violenti e scatenati da futili motivi. È aumentata la quantità di violenza espressa. E questo si nota soprattutto per quanto riguarda la criminalità giovanile. Non è un fenomeno solo milanese né italiano, ma riguarda tutte le grandi città. Non c’è una crescita del numero di giovani o giovanissimi criminali, ma la modalità con cui agiscono è più violenta".

Come può difendersi la società?

"Di certo non con squadre di picchiatori organizzate. L’unica arma a disposizione delle istituzioni è la prevenzione. Meglio se precoce. Investire cioè sui giovanissimi, sui bambini, delle aree e delle fasce più a rischio. È l’unico modo per avere ragazzi e adulti più responsabili e quindi meno reati. Purtroppo però la politica non ha una visione di lungo respiro. E gli interventi, invece di essere focalizzati su pochi ma chiari obiettivi, si disperdono in mille iniziative slegate tra loro. Così si sprecano solo risorse. Eppure James Heckman, premio Nobel per l’economia nel 2000, analizzando alcuni programmi sociali americani degli anni 60 e 70 per bambini svantaggiati, ha dimostrato che questo tipo di investimento ha anche un importante ritorno economico: ogni euro investito nella formazione dei bambini da 0 a 3 anni rende il 13% in termini di risparmi sul welfare. Percentuale che diminuisce al crescere dell’età. Purtroppo però i bambini non votano. E spesso neanche i genitori delle zone più difficili delle città".