ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

"Luci, bagni e risposte, se no la Fiera di Sinigaglia muore"

Ripa di porta Ticinese si trasforma ogni sabato nella versione milanese di "Camden Town"

La fiera di Senigaglia (Newpress)

Milano, 17 settembre 2017 - Ripa di porta Ticinese si trasforma ogni sabato nella versione milanese di «Camden Town». È la Fiera di Sinigaglia: dalla mattina presto a sera qui è il regno di vinili, macchine fotografiche d’antan, lampadari anni ’50, vestiti vintage, divise militari… Il più antico mercato delle pulci di Milano - risale all’800 - ha avuto una storia travagliata negli ultimi decenni. Dagli anni ’80 il trasloco delle bancarelle è stato continuo: da via Catalafimi alla Darsena, dallo Scalo di Porta Genova all’Alzaia Naviglio Grande fino all’attuale Ripa di Porta Ticinese, dal 2014. Oggi il presidente dell’associazione Fiera di Sinigaglia, Luigi Di Frenna, 60 anni di Varese e titolare della “Clinica del vinile”, scommette sulla rinascita del «mercato cittadino più pittoresco» come lo definisce. Senigallia o Sinigaglia? «Per carità, non chiamatela Senigallia…».

Quali sono le richieste che avanzate all’Amministrazione come ambulanti?

«Bagni chimici in primis. Arriviamo alle 6.30 del mattino e andiamo via alle 19.30. È inevitabile avere bisogno di una toilette durante il giorno. Al momento siamo costretti a rivolgerci a bar e ristoranti, pagando una consumazione ogni volta…»

Altra esigenza?

«L’installazione di colonnine elettriche. Dal prossimo mese avremo necessità di illuminazione dalle 16. Anche in un’ottica di attenzione all’ambiente, siamo convinti che si possa adottare una soluzione alternativa all’impiego dei generatori. Ci sono modelli a scomparsa, finanziati anche da contributi europei, adottati in mercati di altre città».

Alcuni suoi colleghi non hanno mai digerito l’attuale collocazione e sognano il ritorno in Darsena...

«Bel sogno, ma impossibile. Siamo 106 bancarelle e non ci staremmo. Forse il vero rimpianto è per gli anni ’80 e ’90: gli affari andavano a gonfie vele per tutti. Ma quell’epoca non tornerà più».

Claudio Beretta, nella prefazione del libro fotografico di Mario Cattaneo «La Fera del Sinigaglia» del 1996 scriveva che «non è solo una fiera di cose vecchie, cianfrusaglie e ciarpame, ma è anche un campionario della nostra gente: la signora, il pensionato, l’operaio, l’intellettuale». È ancora così?

«Non esattamente. Negli ultimi anni l’utenza locale è diminuita e si registra una massiccia presenza di turisti. Inglesi e francesi hanno il culto del vintage».

Quando è diventato ambulante?

«A 50 anni. Per me è stata una rinascita. Per 30 anni sono stato proprietario di diversi negozi di abbigliamento. Nel 2008 la crisi mi ha fatto chiudere i battenti. Ma il fallimento, invece che abbattermi, mi ha dato l’energia per iniziare con qualcosa di nuovo. Mi sono detto che non era più il tempo di perseguire soldi e successo. Volevo un lavoro che mi piacesse. E poiché, sin da ragazzino, ero un collezionista di dischi di progressive, mi sono inventato la “Clinica del vinile”».

Pentito di lavorare all’aperto?

«Neanche per idea. Ho avuto la fortuna di intercettare il revival del vinile che mi consente di campare di musica. I millennials, abituati all’effimero digitale, apprezzano l’appeal fisica dell’lp, con le sue copertine bellissime. I clienti sopra i 50 anni si dividono fra collezionisti di lunga data e persone che negli anni ’60 o ’70 non si potevano permettersi di acquistare un disco e ora si tolgono lo sfizio di possedere questo bell’oggetto del desiderio…».