Francesca
Golfetto*
A Milano gli eventi ci mancano. Dopo il lockdown, ci manca la loro produttiva vivacità anche quando significa strade, trasporti e ristoranti affollati. La città è sempre stata molto attrattiva e, negli ultimi anni,
aveva anche incrementato attività come fiere, fuori salone, convention. Solo gli eventi collettivi (fiere, sfilate, congressi), hanno attratto ogni anno quasi 4 milioni di presenze, di cui oltre la metà operatori in grande parte provenienti dell’estero. Gli eventi corporate individuali probabilmente pesano quasi
altrettanto, anche se è più contenuta la quota di attrattività sull’estero. Molti di questi eventi ottengono
anche una ampia risonanza sui media internazionali, risonanza che esalta insieme il livello dei contenuti (vedi ad es. moda-design) e quello del contenitore (Milano). In sostanza, Milano rappresenta la principale piattaforma di visibilità delle produzioni italiane a livello internazionale. Il fenomeno è di certo connesso ai miglioramenti infrastrutturali, architettonici e di ricettività che hanno di recente arricchito la città, ma è
anche il risultato di una capacità che viene da lontano, basata su un fondamentale rapporto di scambio.
Le capacità di iniziativa e di accoglienza dell’ambiente milanese erano già note ai tempi della Fiera
Campionaria, in particolare nel dopoguerra, grazie al ruolo di traino che questa ha avuto nella ripresa. I grandi eventi attivati negli anni successivi (es. settimana del design, settimana della moda,
Expo 2015) hanno migliorato queste capacità. La prossima riapertura di Fiera Milano ci fa
quindi ben sperare che, come nel dopoguerra, gli eventi aiuteranno la ripresa e che presto si tornerà a dire
“Milano è cool”.
*Università Bocconi