REDAZIONE MILANO

I 25 anni di Fondazione Rava. E c’è anche Raoul Bova: “Tutto qui parla di famiglia”

Il testimonial dell’associazione milanese nella Repubblica Dominicana. “Ad Haiti, nel 2010, col terremoto avevo già vissuto una esperienza intensa”

Raoul Bova con i bimbi della Casa Nph in Repubblica Dominicana (foto Alessandro Grassani)

Raoul Bova con i bimbi della Casa Nph in Repubblica Dominicana (foto Alessandro Grassani)

Milano – Spiagge bianche, mare cristallino, palme, resort di lusso. Interrogando i motori di ricerca sulla Repubblica Dominicana, il risultato è una sequenza di immagini da sogno. Cosa c’è dietro la cartolina? Negli angoli più bui, storie di povertà e sofferenza estreme. Nella parte interna del Paese, nelle piantagioni di canna da zucchero, per esempio lavorano haitiani fuggiti dal loro Paese (che si trova nell’altra metà dell’isola caraibica), provato da anni in bilico fra guerra civile e scorribande di gruppi armati. “Questi migranti, però, non trovano una vita migliore, sono spesso ridotti in schiavitù. E i loro figli che nascono qui non hanno documenti, né diritti. Li chiamano ‘las palomas’, le colombe bianche, perché non sono riconosciuti all’anagrafe, sono immigrati illegali che non hanno il diritto di andare a scuola o di essere curati. Noi aiutiamo, fra gli altri, queste persone a trovare una loro identità e a vivere nel rispetto delle regole del Paese nel modo migliore possibile”, spiega Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava - Nph Italia.

In questi giorni nella Casa dell’organizzazione umanitaria Nph che accoglie i bambini in difficoltà nella Repubblica Dominicana c’è un ospite speciale: è l’attore Raoul Bova, impegnato in un viaggio del cuore, organizzato in occasione dei 25 anni della Fondazione Francesca Rava. “Tempo di bilanci, inevitabilmente ci guardiamo indietro – riflette Mariavittoria Rava –. E io stessa non riesco a credere a quello che abbiamo fatto. La cosa bella che mi auguro rimanga uguale per il futuro è che non è mai cambiata la motivazione che ci anima, a distanza di 25 anni dalla morte di mia sorella”, nel 1999 all’età di 26 anni in un incidente stradale, che è stato il dolore che mi ha smosso e ha causato poi una serie di altre coincidenze che ci portano fino a qui. La invoco spesso quando sono un po’ sopraffatta dalle difficoltà, le chiedo tanto aiuto. Era una persona molto semplice, umile, ma molto di azione. Bella, piena di vita. Me la figuro che ride e mi prende in giro: “Hai visto che scherzo ti ho giocato?“. Ma nello stesso tempo mi direbbe: “Non pensare a niente, vai avanti, fai, e non sbagli“”.

“Oggi avrebbe 53 anni – ragiona –. La sento molto vicina. E spero che lo stesso spirito di amore, passione e verità ci accompagni per i prossimi 25 anni, perché è quello che contagia tante persone portandole ad aiutarci. Da soli non si fa niente”. Anche Raoul Bova è arrivato a noi per puro caso anni fa, ricorda Rava. “Avevamo un’iniziativa con la Fabbrica del sorriso che ci abbinava un attore, una persona famosa. Ma capitò una defezione all’ultimo minuto. Quel giorno eravamo in Fondazione fino a tarda notte e io, per risollevare un po’ gli animi, proposi: ragazze, chi vorreste come testimonial? Per scherzo facemmo una votazione. Risultato: all’unanimità Raoul Bova. Ci ridemmo sopra, ma il giorno dopo chiamò Mediafriends dicendo di aver trovato la persona giusta per noi: era proprio Raoul Bova. In Fondazione erano tutti senza parole. A noi succedono anche queste cose un po’ leggere, ma io credo che l’universo abbia un’energia speciale che alla fine ti ascolta. E quindi anche Raoul è rimasto “incastrato“ nella rete della Fondazione”, sorride.

“Con la Fondazione Francesca Rava avevo già vissuto un’esperienza ad Haiti – spiega l’attore –. C’era stato il terremoto nel 2010 ed era ovviamente un contesto di emergenza. All’epoca avevo già percepito in maniera importante l’impegno e il lavoro che veniva fatto. Quella che sto vedendo qui in Repubblica Dominicana è una situazione completamente diversa. Si vede proprio la progettualità futura dei ragazzi che arrivano nella Casa Nph. Ci sono ragazzi vulnerabili, ragazzi che provengono da situazioni familiari difficili, o di violenza. Bambini pieni di vita, di energia, di speranze e di sogni, bambini che riescono a sorridere e a gioire delle piccole cose. C’è una situazione di grande armonia, si respira aria di famiglia”.

Ecco le prime impressioni a caldo di Raoul Bova, confidate all’agenzia AdnKronos Salute. Le emozioni vissute dall’attore nei primi giorni del suo viaggio in Repubblica Dominicana in occasione dei 25 anni di Fondazione Francesca Rava - Nph Italia. Un viaggio del cuore, che ha affrontato con dei compagni di avventura speciali: i figli maggiori Alessandro e Francesco. “Questo viaggio – racconta Bova – può essere più importante di mille altri. È un qualcosa che ti unisce, ti fa ricordare di quando insieme si è vissuta una cosa particolarmente bella. Mi fa piacere che anche loro vedano questa realtà. Il compito dei genitori è anche quello di preparare i figli alla condivisione con gli altri, un messaggio quasi di fratellanza. Tutto questo è un regalo per noi. Non abbiamo ancora parlato, però li conosco. Conosco le loro espressioni, il loro linguaggio del corpo e ho visto che c’è stato subito un grande coinvolgimento. Devo dire che i bambini, poi, ti prendono per mano e ti coinvolgono, quindi è inevitabile lasciarsi andare”.

Tutto parla di famiglia, sull’isola. “Le casette che sorgono all’interno della struttura – osserva Bova – sono proprio ambienti che sanno di famiglia allargata, dove questi ragazzi vivono come fratelli e hanno tante persone che li sostengono, che danno loro la possibilità di studiare, di condividere, di percepire quali sono le regole comportamentali, di prepararsi poi alla vita futura. Tutto viene fatto con grande semplicità, gentilezza, amore”, racconta. “La percezione è stata questa – conferma – di grande serenità ed equilibrio”. Diverso, insomma, dai ricordi di Haiti post sisma. “Allora eravamo di base proprio all’ospedale, dormivamo lì in questa struttura, era appena successo tutto”, ricorda. Fra le macerie un’emergenza dopo l’altra, “da affrontare giorno dopo giorno. Ma se lì la prima urgenza era salvare le vite, qui si può toccare con mano una programmazione del futuro dei bambini”.