GIULIA BONEZZI
Cronaca

Fondazione Rava Una rete di ospedali contro l’abbandono di neonati e mamme

Il progetto “Ninna ho“ creato nel 2008 con KPMG Italia collega sette culle salvavita e informa sul parto in anonimato "La maternità è un luogo sicuro in cui non sarete giudicate".

Fondazione Rava Una rete di ospedali contro l’abbandono di neonati e mamme

di Giulia Bonezzi

"Ninna ho" come una ninna nanna, la promessa di un posto sicuro e quel posto, "Ho", è l’ospedale. È il nome di una rete che esiste da quindici anni, costruita dalla Fondazione Francesca Rava - Nph Italia Ets e dal network KPMG Italia, nata per contrastare l’abbandono neonatale e l’infanticidio, col patrocinio delle società scientifiche Sin (neonatologi) e Sip (pediatri); che collega al momento sette culle termiche salvavita in altrettanti ospedali (cinque donate ex novo) ma anche un centinaio di punti nascita in Italia. Perché queste strutture tecnologiche, eredi sicure e discrete delle antiche “ruote degli esposti” alle quali sette mamme, dal 2008, hanno affidato nell’anonimato figli che non potevano o non volevano tenere con sé per ragioni che nessuno può giudicare, sono l’ancora estrema per agganciare una realtà che esiste da sempre. La Società italiana di neonatologia nel 2015 l’ha fotografata in un’indagine.

La realtà: ogni mille bambini che nascono, uno non viene riconosciuto. Il 37,5% delle mamme che decidono di partorire in anonimato e affidare il bambino all’ospedale, dunque allo Stato perché gli dia una famiglia in cui crescere, sono italiane. Il 48,2% sono maggiorenni e hanno meno di trent’anni. È un diritto stabilito da una normativa (DPR 3962000) che in Italia esiste da 23 anni, "ma che purtroppo molte persone non conoscono - ricorda Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava - Nph Italia Ets -. Molte donne non sanno che possono essere seguite per tutta la gravidanza e partorire in anonimato, sicurezza e gratuità in tutti gli ospedali pubblici, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno i documenti. Che possono essere accompagnate, aiutate a trovare una soluzione diversa se lo desiderano, e non saranno giudicate. Affidare un figlio all’ospedale è un atto grandissimo di amore incondizionato, e tutte, la mamma che lo lascia in mani sicure e la mamma che lo crescerà, sono Mamme con la maiuscola. Abbracciano un progetto di vita che nasce da un dolore". Diffondere la conoscenza di questa possibilità, della normativa e la cultura dell’ospedale come "luogo amico" con un sito (www.ninnaho.org), più di un milone di opuscoli in sei lingue distribuiti (italiano, inglese, francese, spagnolo, russo, cinese), campagne sui mezzi e sui media, nei centri commerciali e nelle farmacie, è una delle due anime della mission "ninna ho".

L’altra è l’installazione di culle termiche: da lì è partito il progetto nel 2008. "Era il periodo di Natale, a Varese faceva un gran freddo - racconta la presidente –. Un passante sentì quello che gli sembrò un miagolio da un cassonetto. Non era un gatto, era un neonato semiassiderato. Fu salvato nel reparto di Neonatologia del professor Massimo Agosti che era anche un nostro medico volontario, aveva lavorato nei nostri progetti ad Haiti. Ci chiese aiuto per un progetto. Lo stesso giorno ci chiamò KPMG, per invitarci alle celebrazioni del loro 50esimo". La società di consulenza non è solo un importante sostenitore dei progetti della Fondazione Francesca Rava; il legame è forte perché Francesca, la sorella di Mariavittoria alla quale la Fondazione è dedicata, lavorava in KPMG. "Rinunciarono alla festa e destinarono il budget a costruire una culla salvavita all’ospedale del Ponte di Varese". La prima culla ninna ho; altre quattro sono state poi donate al Federico II di Napoli, agli ospedali di Parma, di Padova e Careggi di Firenze. Alla rete hanno aderito altri due ospedali che la culla salvavita l’avevano già: il Policlinico Casilino di Roma e il Policlinico di Milano, cioè la struttura della Mangiagalli che a Pasqua ha accolto il bambino chiamato Enea. Era il terzo affidato lì, dal 2007.

La punta di un iceberg che la Sin continua a indagare attraverso il progetto ninna ho: nel 2021 ha realizzato un Registro nazionale sui bambini non riconosciuti o abbandonati alla nascita, un osservatorio aperto a tutti i punti nascita italiani per monitorare i fenomeni, diversi, dei neonati partoriti in ospedale e non riconosciuti, e dei bimbi nati invece fuori da una struttura sanitaria, abbandonati e che ci arrivano dopo essere stati ritrovati in vita. I bimbi delle culle come Enea, ma anche la piccola partorita pochi giorni dopo in un’ex caserma diroccata a Quarto Oggiaro che la mamma ha scelto di non riconoscere all’ospedale Buzzi, non sono "abbandonati": "Sono stati lasciati in mani sicure, e non è mai una scelta facile - sottolinea Mariavittoria Rava –. In Italia, diversamente da quanto accade nei Paesi poveri, spesso le motivazioni non sono, o non sono principalmente, economiche: ci possono essere violenze psicologiche, pressioni sociali, la grande maggioranza delle donne che partoriscono in anonimato lo fa fuori dalla regione di residenza. Hanno paura perché lo stigma ricade su di loro, che sì, spesso sono state abbandonate da un uomo, che non hanno la famiglia accanto. Non devono essere giudicate ma aiutate. E si può fare in molti modi, anche con il passaparola per far sapere che possono partorire in modo anonimo e sicuro, per sé e per il bambino".