
Lucio Fontana con alcune delle sue sfere
Milano - È un Fontana! No, quello no. Va avanti ormai da otto anni la battaglia giudiziaria attorno ad una Natura con tanto di firma ma che per i giudici non si può attribuire all’artista spazialista Lucio Fontana, celebre soprattutto per le sue tele con i “tagli“. Questa Natura discussa è una scultura in bronzo, una specie di sfera (o di bolla) con squarci che i critici d’arte vedono come crateri della luna. Ne esistono diversi esemplari - ce n’è uno simile alla Tate Gallery di Londra - che Fontana, negli anni ’60, fece ricavare in una fonderia milanese da alcune opere “madri“ da lui realizzate in terracotta. La Natura bronzea che ci interessa, e che se fosse autentica varrebbe almeno 400 mila euro, appartiene alla varesina Fondazione Boga, dal nome dei tre fratelli che l’hanno creata per valoriziare la loro attività professionale ma anche la collezione di artisti noti ed emergenti che possiedono. A contestare l’autenticità del Fontana in questione è invece la Fondazione che porta il nome dell’artista nato in Argentina ma milanese d’adozione, scomparso ormai più di mezzo secolo fa. Fondazione che si è opposta alla richiesta avanzata dai Boga di ottenere una dichiarazione di autenticità della loro opera (con l’onere di dimostrarla, dunque) e del suo inserimento nel catalogo generale dell’artista.
Ne è nata una vertenza in sede giudiziaria che nel 2018 ha portato il tribunale civile di Milano - e più di recente anche la corte d’appello - a negare quel riconoscimento di autenticità. Complicatissima, in particolare, la questione che si è scatenata sulla firma “l Fo.“ presente sul bronzo: sia perché non c’è nulla di simile sulla terracotta “madre“, sia perché, nonostante perizie grafologiche delle due parti arrivate a conclusioni opposte, per il consulente del giudice in realtà quella firma non può proprio essere confrontata con altre, in assenza "di altre firme autentiche dell’autore che siano state apposte con le medesiime modalità". Né, secondo la corte d’appello, sono state sufficienti a provare la paternità autentica altri "elementi probatori prodotti" dai Boga, come le radiografie della scultura e perizie della fonderia milanese. Anzi, scrive la Corte, rispetto all’esemplare di Natura su cui è stato condotto il confronto (proprietà di una galleria di Verona), quello sarebbe stato fuso in due colate poi saldate, questo dei Boga in un’unica colata.
E in definitiva , sempre secondo il consulente d’ufficio, il noto esperto d’arte Flaminio Gualdoni, differenti sarebbero anche la superficie della scultura, la sua "patinatura" e la base d’appoggio. E per i giudici, incerta è anche la storia dell’acquisizione dell’opera, a sentire i i Boga rinvenuta tra i beni societari già nel 1970, ma che per la Corte "compare per la prima volta in documenti certi solo a partire dal 2009". In attesa del probabile e definitivo giudizio di Cassazione sul dubbio Fontana, c’è anche un’altra questione fondamentale: è giusto che siano i tribunali a dare patenti di autenticità delle opere? "Con questa pronuncia - osserva l’avvocata Gloria Gatti, esperta di dititto dell’arte - la Corte d’appello ha ribadito l’importante principio dell’ammissibilità della domanda di accertamento giudiziale di autenticità dell’opera d’arte, qualora sia oggetto di contestazioni da parte di terzi. E questo – spiega – in quanto funzionale e determinante a garantire una piena tutela del diritto di proprietà. In caso contrario, ci sarebbe un ingiustificato vuoto di tutela, contrario al principio di cui all’articolo 24 della Costituzione", quello che garantisce a tutti la possibilità di rivolgersi al giudice per difendere un proprio diritto o un legittimo interesse.