Via dalla Cina per la religione: il tribunale di Milano riconosce lo status di rifugiata all’adepta di Dio Onnipotente

Per Pechino si tratta di una “setta malvagia”: i giudici le hanno riconosciuto la protezione internazionale per motivi religiosi perché rischierebbe l’arresto e la persecuzione se rientrasse nel Paese

Il credo di "Dio Onnipotente" professa la reincarnazione di Gesù Cristo

Il credo di "Dio Onnipotente" professa la reincarnazione di Gesù Cristo

Milano, 26 agosto 2024 – “Non posso tornare in Cina: mi arrestano, se torno rischio di morire”. L’invocazione della donna è stata accolta nelle scorse settimane dai giudici della sezione specializzata del Tribunale di Milano, che le hanno concesso lo status di rifugiata per motivi religiosi. La vicenda inizia il 13 luglio 2016, quando la signora cinese atterra all’aeroporto di Fiumicino per poi trasferirsi immediatamente in zona Niguarda. Il primo agosto 2019, si presenta davanti alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale: riferisce della vita professionale e dei suoi legami familiari e spiega di “essere partita perché perseguitata per motivi religiosi, facendo parte della Chiesa di Dio Onnipotente”.

Vale a dire del movimento religioso, fondato nel 1991, che crede nella reincarnazione ai giorni nostri di Gesù Cristo e che è stato bollato dal governo della Repubblica popolare come “setta malvagia” (accusata anche di un omicidio avvenuto in un fast food nel 2014). La donna narra di essersi avvicinata al culto “proibito” nel 2010, dopo aver attraversato un momento difficile legato alla malattia del padre. Ben presto, però, quella fede le ha provocato una serie di guai: in un’occasione, è stata costretta a scappare dal balcone per sfuggire all’arresto della polizia; un’altra volta, si sarebbe rifugiata in una foresta per scampare alle manette. Fino alla decisione di partire per l’Italia: “Non potevo restare in Cina, avevo il passaporto nel 2014 perché l’azienda organizzava un viaggio. C’era il rischio di essere arrestata e il rischio della vita”.

La Commissione nega lo status, sostenendo che la donna non è stata in grado “di far emergere elementi caratterizzanti l’esperienza religiosa individuale, quali il percorso di avvicinamento alla fede e alla pratica di un culto cristiano, indice di credibilità secondo quanto previsto dalle linee guida dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, ndr)”. Non basta: il timore “in caso di rientro” viene ritenuto in contraddizione con il fatto che la donna è riuscita “a lasciare regolarmente il Paese superando i controlli di frontiera all’aeroporto, fornendo il passaporto senza destare alcun sospetto”. Il legale della cinese non ci sta e impugna la decisione, reputandola “infondata e viziata dal travisamento delle dichiarazioni rese dalla ricorrente” nonché “stereotipata con l’intento, non tanto nascosto, di bocciare la domanda di protezione internazionale”.

La decisione del giudice

In Tribunale arriva il ribaltone. Nel provvedimento firmato dal giudice Guido Vannicelli, si legge che dal 2016 in avanti il controllo governativo sulle religioni è stato notevolmente intensificato in Cina, fino a diventare asfissiante in epoca Covid: “Tutti i gruppi devono passare attraverso un rigoroso processo di certificazione per essere riconosciuti ufficialmente dalle autorità”; quelli che si oppongono “vengono etichettati come illegali e perseguitati”. Tra questi ultimi c’è pure la Chiesa di Dio Onnipotente, inclusa nella lista dei “culti maligni” stando a un report del 2018 del Forum della libertà religiosa in Europa. Stando a un altro documento, “almeno 100 membri sono stati arrestati nelle province di Sichuan, Fujian e Shandong a partire dal gennaio 2020”. Da qui la decisione di concedere lo status alla donna, che sta continuando a professare il suo credo anche all’ombra della Madonnina, in zona Certosa: “È fondato il rischio che la ricorrente, qualora rimpatriata, sia sottoposta ad atti persecutori”.