SIMONA BALLATORE
Cronaca

Il dono (provocatorio) di Pesce a Napoli, la curatrice Annicchiarico: “L’arte smaschera un tabù, Gaetano sarebbe felice”

“Tu si ’na cosa grande“ del celebre designer fa discutere da giorni l’Italia. “Operazione riuscita: così ha tolto il coperchio al nostro inconscio collettivo. Le critiche sulla fedeltà al progetto? Tutto è stato riprodotto accuratamente”

Silvana Annicchiarico, per oltre un decennio alla guida della Triennale, con l’artista e designer Gaetano Pesce. Annicchiarico è la curatrice dell’installazione postuma “Tu si ‘na cosa grande“ esposta in piazza del Municipio a Napoli

Milano – “Ha scatenato riflessioni, prese di posizione e interpretazioni, sempre in bilico tra furia e ironia, tra produzione di senso e rifiuto del senso. L’operazione è riuscita: Gaetano Pesce ha tolto ancora una volta il coperchio all’inconscio collettivo degli italiani”. Silvana Annicchiarico, direttrice del Triennale Design Museum dal 2007 al 2018, ha studiato e curato tantissime mostre e opere firmate dall’artista, designer e architetto, scomparso il 3 aprile a New York. Ed è la curatrice anche dell’ultima installazione, “Tu si ‘na cosa grande“, in piazza Municipio, a Napoli.

“Vulcanico, ingombrante, libero fino all’ultimo respiro”: così aveva voluto ricordare Gaetano Pesce. “Libero anche dopo la morte”, potremmo aggiungere oggi?

“Con questo lavoro postumo lo dimostra: ha saputo parlare alla gente, alla città, al mondo, ai poteri, alla cultura e all’arte. Ogni opera può generare percezioni diverse a seconda del punto di vista che le osserva: spesso tendiamo tutti a non pensare a quello che vediamo ma a vedere sempre e solo ciò che già pensiamo, che vorremmo vedere o che abbiamo paura di guardare”.

Tutti (o quasi) hanno visto un fallo...

“Perché di fronte alla sessualità siamo prigionieri di un binomio che viene da lontano e che Freud spiega così: totem o tabù, feticizzazione o rimozione. Gaetano Pesce era anche scomodo, non ha mai lisciato il pelo a nessuno. Così facendo ha indotto l’intera comunità a interrogarsi sul senso dell’arte contemporanea che, se ben congegnata, non può lasciare indifferenti”.

Da più di una settimana non si parla d’altro. Nel bene e nel male. Missione riuscita?

“Sì, è come un fiume in piena. E Gaetano ne sarebbe felice”.

Inquadriamo la piazza: c’è chi grida allo scandalo, chi scatta selfie stile Torre di Pisa, chi posta sui social un bozzetto con i bottoni e urla al tradimento e chi elogia l’opera e l’agorà che si è creata. Cosa ne pensa?

“È proprio così, ed è bellissimo. Una piazza parla d’arte, da giorni. Alle polemiche sulla fedeltà rispondiamo con i disegni, la documentazione sistematizzata e scientifica che ci ha lasciato. Tutto è stato riprodotto fedelmente, nelle proporzioni, nei colori”.

Ci lavoravate insieme dal 2022: ci racconta la genesi?

“Gaetano Pesce aveva le idee molto chiare. Il suo desiderio, commovente, era ripescare le sue radici lontane: i nonni erano di Sorrento, lui aveva base a New York, ma amava l’Italia nelle viscere e ci veniva appena poteva. Trascorreva le vacanze a Napoli e sulla Costiera Amalfitana. E ha voluto donare alla città, in modo permanente, il cuore che fa parte di quest’opera”.

Scelse lui anche il titolo?

“Sì. Ne avevamo ragionato a lungo: “I love Napoli“, “Napoli amore mio“ e alla fine “Tu si ’na cosa grande“: pensava alla canzone di Domenico Modugno, gli piaceva farne riecheggiare il suono”.

Cosa voleva esprimere con questa installazione?

“Era ripartito dall’archetipo del Pulcinella. Mi mostrò una foto degli anni 2000: abbracciava una maschera col mare alle spalle. Pulcinella era la figura che abitava anche i suoi sogni, sin da bambino. E così ha pensato non di riprodurla ma di liberarne l’anima, di mostrare la moltitudine di sfaccettature in una veste che all’inizio era bianca, ma che poi ha voluto cangiante, variopinta. C’è la matericità ma anche un lato etereo, che mi ha stupita”.

In che senso?

“Nell’“Uomo stanco“, la prima opera postuma che è stata esposta a Milano, accanto alla sua mostra monografica, è molto figurativo, grave: palpitava sofferenza quell’uomo, prono a quattro zampe. In “Tu si ’na cosa grande“ vediamo un Gaetano Pesce leggero, anche nelle pennellate che inondano la veste”.

A Milano anche la sua “Maestà sofferente“ non lasciò indifferenti: ricordiamo la vernice rossa lanciata dalle femministe...

“Vero. Ma con quell’opera che richiamava la sua celebre Poltrona Up, col pouf che ricordava la palla al piede dei prigionieri e l’installazione in piazza Duomo, trafitta da 200 frecce e con belve in agguato, voleva denunciare la sottomissione della donna, il patriarcato. Con Pesce il design non è solo funzionale, si fa carico di messaggi politici, sociali, di protesta. Provoca. Quando l’opera è in un museo è protetta, in piazza si mostra a nudo. Non tutte le opere hanno la forza di scaturire un dibattito così trasversale, orizzontale, obliquo. Io credo che il compito degli artisti, dei critici e dei curatori sia continuare a far ricerca, a far riflettere. Anche in modo scomodo e brutale, incessantemente”.

Dopo le ultime due opere postume, ci sarà qualche altra sorpresa nel suo cassetto?

“Ho dedicato a Gaetano Pesce la mostra “Il rumore del tempo“ nel 2015 perché era un altro dei suoi temi ricorrenti. Lui lo sentiva ancora più assordante quel rumore, ma rispondeva con vitalità fertile, vivacissima: disegnava con una furia incredibile. Sicuramente in quel cassetto ci sono tantissimi schizzi, bozzetti”.