Il passato è nelle migliaia di foto e documenti d’epoca e d’archivio, ma anche nel cuore e nella memoria dei melzesi. Il futuro è il piano di recupero, quest’anno ufficialmente e finalmente al via. L’avventura dello storico caseificio Galbani a Melzo prendeva il via nel 1882, l’anno del primo opificio del “casaro“ Egidio Galbani a Cascina Triulza. Poi gli anni dello splendore all’ombra della fabbrica storica nel cuore del borgo, tempio della produzione casearia e di salumi, laboratorio sindacale, impresa sociale, seconda casa di generazioni di melzesi e non. Poi gli anni dell’abbandono. Oggi il 2025 che parte sarà il secondo “anno zero“: quello in cui, dopo decenni di attesa, sull’area che ospitò il caseificio, uno dei siti dismessi più grandi, critici e significativi dell’est milanese, arriveranno ruspe e operai.
Palazzi, parcheggi, servizi e verde prenderanno corpo al posto del vecchio stabilimento, di cui oggi rimangono solo resti spettrali e cadenti circondati da macerie, sterpaglie e degrado. Case, nuova viabilità e un supermercato fuori città, sulla Cerca, al posto delle vecchie porcilaie: anche qui, un complesso degradato e cadente, da troppo tempo pericoloso rifugio per senzatetto e sito ad alto rischio ambientale. Un’impresa urbanistica storica per il Comune di Melzo. Ma molto più di un intervento di risanamento urbano: alla rinascita delle aree ex Galbani è legato un piano di rilancio e rivitalizzazione produttiva, commerciale e demografica che va ben aldilà dei confini della città.
Il percorso per i cantieri oggi al via è stato talmente lungo e a ostacoli che riassumerlo è difficile. L’abbandono totale del complesso risale ormai a qualche decennio fa. Nei primi anni Duemila il primo piano di recupero, firmato dall’allora amministrazione comunale in collaborazione con la società immobiliare proprietaria del complesso. I primi colpi di piccone, a simboleggiare la fine della stagione del degrado e l’imminente cancellazione della “piccola Beirut“ alle porte del borgo. Ma subito dopo, a gelare ogni speranza e a interrompere il cammino, era arrivata la mannaia della crisi: fallimento per l’impresa proprietaria, progetto irreversibilmente al palo, curatela fallimentare, e poi uno stallo durato, fra aste deserte e operatori ‘indecisi’, quasi vent’anni. Quando nessuno, amministrazione comunale in primis, pareva più crederci, ecco la svolta, arrivata nel 2020. L’anno in cui Officine Mak, il colosso della rigenerazione urbana già artefice della rinascita di aree dismesse degradate anche in area Est Milano, si è portata a casa l’ex Galbani in blocco, all’ennesima asta: sito centrale e porcilaie, fabbricati e aree, annessi e connessi. L’approvazione del piano d’intervento risale a oltre un anno e mezzo fa, epilogo di un lungo e non sempre semplice negoziato con l’amministrazione comunale. Ora si parte. II semaforo verde alle ruspe è arrivato un mese fa, con la cessione del lotto 1 del comparto in centro a Lifescape, partecipata del colosso immobiliare Quinto srl. Un primo lotto "che prevede, per ora – così il vicesindaco Lino Ladini – solo l’edificazione di edifici residenziali. Nei successivi si procederà con i servizi, il verde, e con la via di cucitura fra il nuovo quartiere e il nucleo storico della città". Una scommessa vinta per Officine Mak: "Siamo orgogliosi – commentò il ceo Daniele Consonni – di aver concluso positivamente questa operazione, importante per tutto il territorio della Martesana". Davanti, da ora, almeno 5 anni di cantieri. Da non vedersi solo in negativo.
La speranza è che i lavori, lunghi e complessi, portino un anticipo di indotto alla città e alla zona. Il futuro arriva, la storia non si cancella. Una grande mostra documentaria, a Melzo, celebrò due anni fa i 140 anni del marchio principe dell’industria casearia italiana: dalle prime mungiture al Bel Paese, dalle foto in bianco e nero a Carosello. Ed è il prezioso archivio storico Galbani a raccontare di un’azienda e di una città cresciute in simbiosi: migliaia di fotografie, negativi e diapositive, documenti amministrativi, inserti pubblicitari, manifesti, etichette. Centinaia di pagine di giornale, di filmati e spot. Un patrimonio materiale e di cuore, che resta. Un sogno per il futuro, quello di poterlo un giorno rendere pubblico e fruibile, proprio in città. Magari in una porzione di Cascina Triulza, il primo opificio da pochi anni restaurato, ma ancora in attesa di destinazione.