MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Galleria imbrattata, la stroncatura di Pao: “Non c’è arte, questa è solo caccia alla visibilità"

Paolo Bordino, papà dei ‘pinguini’ che hanno colorato le periferie milanesi, condanna l’incursione: "La regola non scritta è di non peggiorare opere che sono di tutti”

La Galleria imbrattata. A destra, lo street artist Pao

La Galleria imbrattata. A destra, lo street artist Pao

Milano – “Io non ci vedo nulla di artistico in queste scritte. Solo ricerca di visibilità". Non usa mezzi termini Pao, all’anagrafe Paolo Bordino, tra i più celebri esponenti della street art milanese, conosciuto per i suoi ‘pinguini’ e le opere che trasformano angoli urbani in mondi immaginari. Così commenta lettere e scarabocchi lasciati a colpi di vernice spray lunedì sera da vandali sulla facciata della Galleria milanese.

Il suo primo pensiero, guardando la “performance“ sul cornicione?

"Sicuramente un’incursione così, su un monumento, denota mancanza di rispetto dal mio punto di vista. C’è poco da dire... L’artista non agisce per peggiorare una situazione".

C’è una regola non scritta, tra i writer?

"Sì, in base al buon senso non si rovinano pezzi, intesi come opere, migliori dei propri. Né si deturpano monumenti che sono di tutti. È come se l’essere di tutti li rendesse di nessuno agli occhi di chi vandalizza".

Un parere da esperto su questa opera?

"Sembra realizzata da qualcuno che tecnicamente non ha esperienza nel dipingere, è molto grezza. Incomprensibile. Non ci vedo nulla di artistico, solo la ricerca di visibilità: anzi, più se ne parla, più si fa un favore agli autori di queste scritte, che evidentemente avevano proprio l’obiettivo di generare scalpore. Il writing può virare verso l’arte o verso il vandalismo. Certe azioni vandaliche possono avere delle motivazioni, magari non condivisibili, ma comunque delle motivazioni. Io qui leggo solo la ricerca di visibilità, che è una componente del graffitismo ma una delle tante, non certo l’unica. E poi dalle reazioni che vedo, i milanesi non sono certo felici di queste scritte su uno dei loro monumenti più belli e conosciuti".

Questa vicenda si può paragonare a quella del 1996, quando il writer Noce lasciò la sua firma in cima al palazzo di piazza Duomo, famoso per le pubblicità al neon?

"Quella io la vedo come una sfida leggendaria alla “Milano bene“. Aveva un senso diverso, era intervenuto su un palazzo pieno di pubblicità, sempre salendo in cima e passando dal tetto per raggiungere la facciata, ma in quel caso era un dialogo voluto con le insegne luminose. Un mondo che poi è scomparso. C’era un messaggio preciso, non solo una firma, non solo la ricerca di una vetrina. L’atto di lunedì è sicuramente da condannare: difficilmente si può trovare qualcuno nel mondo dell’arte urbana che lo difenda".