
I rilievi dopo il conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta in località Arzello, frazione di Melazzo (Alessandria)
Milano, 9 marzo 2025 – È atteso in aula il testimone Leonio Bozzato, la cosiddetta “fonte Frillo“ del servizio segreto Sid: si infiltrò nelle Brigate Rosse rendendo possibile l’arresto di Renato Curcio, che ora siede di nuovo sul banco degli imputati.
Ci sarà anche l’ex terrorista Massimo Maraschi, che all’epoca del sequestro dell’imprenditore vinicolo Vittorio Vallarino Gancia aveva 22 anni. È l’unico ad essere stato finora condannato per quel rapimento, e compare nella lista dei testimoni della Procura per rispondere “in merito al sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, ai partecipanti e all’identità dei “carcerieri“ del rapito”.

Come tutti, sarà tenuto a dire la verità davanti ai giudici della Corte d’Assise di Alessandria, in un processo che riporterà sotto i riflettori un drammatico capitolo della storia d’Italia, i segreti degli Anni di piombo e le azioni delle Br. Verranno ascoltati i testimoni di oggi: le persone presenti nel 2023 quando Lauro Azzolini, intercettato mezzo secolo dopo l’episodio, si è lasciato sfuggire quelle frasi che secondo i pm lo inchiodano alle sue responsabilità. La moglie e i tre figli di Giovanni D’Alfonso, che chiedono di rompere il silenzio.

La sparatoria
Le lancette tornano al 5 giugno 1975, quando si scatenò una battaglia alla Cascina Spiotta, nell’Alessandrino. Nel blitz per liberare l’imprenditore rapito morirono l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso e Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Sono seguiti decenni di misteri fino a quando, grazie alla tenacia di Bruno D’Alfonso, uno dei figli del carabiniere ucciso, sono state riaperte le indagini e si è arrivati al processo (martedì la seconda udienza) che nelle prossime settimane entrerà nel vivo.
Gli imputati
L’uomo rimasto per decenni nell’ombra, che avrebbe ucciso D’Alfonso fuggendo dopo il conflitto a fuoco, secondo i pm sarebbe il 79enne ex brigatista Azzolini, milanese. Con lui, che ha sempre respinto le accuse, sono imputati gli ex capi storici Renato Curcio e Mario Moretti, presunti mandanti.
I testimoni
Potranno fornire la loro versione in aula, dopo la sfilata dei testimoni citati dai pm Emilio Gatti e Ciro Santoriello, dai legali dei familiari di D’Alfonso (gli avvocati Sergio Favretto, Nicola Brigida e Guido Salvini) e dal difensore, l’avvocato Davide Steccanella.
Tra i testimoni ci sono i carabinieri del Ros e del Ris di Parma, reparti specializzati che hanno condotto le nuove indagini sfociate nella svolta, ma anche investigatori che si occuparono all’epoca delle indagini sul sequestro e per “identificare il brigatista fuggito”, carabinieri che hanno fatto parte della celebre squadra antiterrorismo creata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
La difesa potrebbe chiedere conto anche delle circostanze della morte di Cagol che, secondo una memoria depositata da Curcio, quando ricevette il colpo mortale era “disarmata” e con le mani “alzate”.
L’infiltrato
Poi c’è Leonio Bozzato, classe 1948, “fonte informativa del Sid” fino agli anni ’80. Gli verrà chiesto, tra l’altro, delle confidenze ricevute da Nadia Mantovani “circa il nominativo del brigatista sfuggito alla cattura” alla Spiotta.
Convocati tra i testimoni (già ascoltati dai pm nel corso delle indagini) ci sono fondatori delle Brigate Rosse ed ex terroristi condannati per attentati che hanno insanguinato l’Italia. Sono ormai vicini agli 80 anni, hanno scontato la loro pena e nella maggior parte dei casi si sono dissociati dalla lotta armata.
Nella lista c’è Franco Bonisoli, condannato per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta, che ha compiuto un percorso di avvicinamento ai parenti delle vittime e da tempo porta la sua esperienza tra i giovani.
C’è Nadia Mantovani, che si occupa di reinserimento dei detenuti, lo storico capo delle Br Alberto Franceschini. C’è Patrizio Peci, il primo collaboratore di giustizia delle Br, che vive in una località segreta.
Risponderanno sui livelli decisionali, sul memoriale redatto dopo i fatti della Cascina Spiotta, sequestrato nel covo milanese. E c’è il lodigiano Massimo Maraschi, che partecipò al sequestro Gancia e fu condannato, mentre il “terzo uomo“ è rimasto finora impunito.
Sono state convocate anche alcune persone che all’epoca abitavano nella località piemontese base delle Br, e dovranno fare uno sforzo di memoria per tornare alla metà degli anni Settanta. Mara Cagol si presentò a una di loro come “dottoressa Marta Caruso”. Era in compagnia di un uomo misterioso, presentato come “mio marito”.