Milano, 31 dicembre 2017 - È un «gentiltopo», fa il baciazampa alle signore, ma anche se si chiama Stilton di cognome, Geronimo è milanesissimo. L’eroe di milioni di bambini oggi vive in via San Martino, a due passi dal centro: adora salire in cima al Duomo fra i gargoyle e va a caccia di storie lungo i Navigli. La sua mamma è Elisabetta Dami, milanese doc, che alla città continua a regalare avventure di carta ma anche sollievo, con un’associazione che porta il suo nome e che fa sorridere grandi e piccini.
Quando è nato Geronimo?
"Nei primi anni Novanta, quando ho scoperto di non potere avere figli, e io volevo una famiglia numerosa. È stato un momento di dolore però anche di amore e di condivisione. Decisi che, con un processo di catarsi, avrei cercato di trasformare il segno da negativo in positivo: iniziai a fare volontariato negli ospedali, i bambini malati avevano bisogno di sorridere. Vale per tutti noi. Ridevano alle avventure di questo topo che avevo inventato e a cui succedevano disavventure di ogni tipo e mi chiedevano: c’è il lieto fine?".
C’è davvero il lieto fine?
"Sì. C’è stato anche per me, perché sono diventata la mamma di milioni di bambini. Oggi Geronimo Stilton è pubblicato in 40 lingue, e ha venduto 140 milioni di copie in tutto il mondo. È come se tutti questi bambini fossero figli miei perché riesco a trasmettere il mio amore, i valori e la mia filosofia. E questo è essere mamma. Geronimo è vivo, per questo firma lui i suoi libri".
Ci racconta il nome?
"Avevo fatto un corso di paracadutismo e “Geronimo” è il grido di battaglia dei paracadutisti americani quando si buttano: se lo gridi molto lentamente corrisponde a cinque secondi, quando tu ti lanci devi aspettare cinque secondi perché se apri prima il paracadute si impiglia nelle ali dell’aereo. Io ero una paracadutista da strapazzo, ma mia sorella cominciò a soprannominarmi Geronimo e così tutti gli amici. Quando dovevo trovare un nome a questo topo mi dissi: è come me, ha le mie debolezze, ha le mie paure. Ha l’entusiasmo e non resiste alle sfide, feci il corso di paracadutismo perché soffrivo di vertigini. È Geronimo".
E Stilton? Porta lontano da Milano.
"Passai un Natale a Londra a casa di amici aristocratici e alla fine della cena arrivò a tavola questa enorme forma di formaggio con un profumo molto intenso, The king of british cheese. Lo Stilton è un nome controllato: è prodotto ancora oggi solo in una contea inglese e con gli stessi procedimenti del Settecento. È la quintessenza della tradizione e dei valori. Il cognome giusto".
Qual è il suo legame con la città?
"Io sono nata a Milano, mia mamma si chiamava Martinenghi. Mio papà era toscano di Prato, da lui ho ereditato il senso dell’umorismo. Quando venne qui perse l’accento “perché – mi diceva – la Toscana è un posto meraviglioso ma sono venuto a Milano, qui ho fatto fortuna. Qui mi sento a casa”. Partì dal nulla, mio nonno era minatore. Milano è molto generosa, dà opportunità che altre città non offrono".
E ha scelto di restare qui col suo Geronimo.
"Nella via vita ho fatto 23 traslochi, tutti a Milano, sono sempre stata in affitto per avere la libertà di ricominciare. Ho girato il mondo, sono salita sul Kilimangiaro, ho fatto la maratona nel deserto, sono stata adottata anche dai Cherokee. Ma parto sempre col desiderio di poter tornare nella mia città e invito qui i miei amici: Milano è meravigliosa, ha anche un castello. New York non ce l’ha un castello col fossato".
Che sognano tutti i bambini. Quali sono i suoi luoghi del cuore?
"Milano è la città dei bambini. Il castello ha ispirato tante avventure e ci sarà anche nella prossima. Amo andare in cima al Duomo, vedere tutti quei mostri, i gargoyle. Il Duomo è perfetto in sé e ogni statua diversa, poi c'è la cripta, un tesoro vero. Nel parco dove mi alleno c'è il ponte delle Sirenette, il primo ponte in metallo d'Italia. Al museo Poldi Pezzoli la donna del Pollaiolo, che è affascinante. Penso sia seconda solo alla Gioconda. Ho visto infinite volte il Cenacolo e ho la chiesa di Sant'Angelo nel cuore, i francescani sono un grande esempio di umanità. Mi piace vicolo dei Lavandai, mi immagino le donne che vi lavavano i panni ogni volta che passo. Una volta al mese sui Navigli, poi, c’è il mercatino dell’antiquariato dove vado a cercare oggetti che ispirino le storie. Ecco un piccolo segreto: quasi tutte le mie storie nascono da oggetti vecchiotti che mi suggeriscono idee. E accanto ho sempre Toto, il mio primo pupazzo, mi è stato regalato quando sono nata: mi ricorda sempre che sono stata bambina. Quando scrivo torno a quando avevo 7 anni".
L’avventura più milanese che ha scritto?
"Operazione Panettone. Gli amici della biblioteca della Famiglia Meneghina mi hanno aiutata anche a tradurre una pagina in dialetto. C’è un dizionario e c’è la mappa: ho fatto fare ai bimbi il giro della città, dalla Pinacoteca di Brera alla Scala".
Prossima avventura?
"Ho cominciato a lavorare con papà a 13 anni, a 18 sono entrata nella sua casa editrice. Eravamo alla Torre Velasca, quanti ricordi quando passo... Poi ci trasferimmo in via Gesù. I miei primi otto libri di Geronimo nascono alla Dami Editore. A 40 anni decisi che ero pronta a proseguire da sola, entrai in edizioni Piemme e mi dedicai ancora di più a Geronimo, che portai con me. Nel 2018, a 60 anni, ricomincio: Geronimo è mio figlio, ci sarà sempre, ma ci saranno anche altri personaggi, con gli stessi valori, però".
Geronimo sta lasciando un segno importante a Milano e non solo.
"L’impegno di Elisabetta Dami Onlus parte da qui. La prima donazione è stata per Vidas, per un’ala dell’hospice dedicata ai bambini terminali, che sarà aperta nel 2019. Pensiamo a un angolo per il teatro, con i giochi e la biblioteca per dare sollievo ai bimbi e alle famiglie. Attraverso le emozioni cerco di regalare sogni ai bambini. Continuo a scrivere per questo e per sostenere tante realtà".