Milano, 2 gennaio 2024 – Quei cimeli hanno uno scopo culturale: "Far rivivere ai tifosi la gloria dei campioni del passato". Di più: hanno finalità didattiche, "posto che i più giovani non conoscono la maggior parte di quei campioni per diretta esperienza, e dunque la mostra serve a farglieli conoscere indirettamente". Con queste motivazioni, la Cassazione ha dato torto a Gianni Rivera, che aveva fatto causa per inibire l’esposizione nel museo del Meazza di un busto, di una maglietta e di immagini e oggetti che ne ricordano la ventennale carriera milanista e per chiedere un risarcimento danni "per l’utilizzazione abusiva della sua immagine".
La storia
L’ottantenne nativo di Alessandria, campione d’Europa nel 1968 e vice campione del mondo nel 1970 con la Nazionale azzurra, debuttò con il Diavolo il 18 settembre 1960 e rimase fedele allo stesso club fino al 1979, indossandone dal 1966 la fascia di capitano. Con quei colori, uno dei numeri "10" più forti della storia del calcio, primo italiano non oriundo ad aggiudicarsi il Pallone d’oro nel 1969 e autore di 170 gol in 684 partite disputate in carriera, ha vinto tre scudetti, quattro Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe e una Intercontinentale. Inutile dire che il Golden Boy, reso celebre dagli assist visionari per i compagni di squadra e dalla straordinaria capacità di leggere il gioco prima degli altri, si è conquistato un posto in prima fila nel pantheon rossonero. Così, quando M-I Stadio srl – la società che per conto di Inter e Milan gestisce le attività del Meazza – ha deciso anni fa di allestire il San Siro Museum nella pancia dell’impianto sportivo, non ha potuto che dedicare un ampio spazio all’ex fantasista nella carrellata di campioni del passato dei due club meneghini.
La battaglia legale
Ed è proprio M-I Stadio a essere stata citata in giudizio da Rivera, che ritiene "abusiva l’utilizzazione della propria immagine perché fatta senza il suo consenso e a scopo di lucro". In primo grado, il Tribunale Civile di Milano ha dato ragione all’ex stella rossonera, condannando la società a un risarcimento di 200mila euro. In Appello, però, il verdetto è stato ribaltato. A quel punto, i legali del Golden Boy si sono rivolti alla Cassazione, presentando sei motivi di ricorso. Coi primi due, gli avvocati hanno contestato la decisione dei giudici di secondo grado di definire l’area espositiva dello stadio un "museo", facendone quindi discendere in automatico il via libera (garantito dalla legge) a usare immagini e oggetti "senza il consenso dell’interessato". Inoltre, per Rivera, il San Siro Museum ha scopo di lucro, considerato che il biglietto costa 7 euro (tranne che per under 14 e over 65) e che nella stagione 2016-17 ha incassato 2,3 milioni.
Il verdetto finale
Per i giudici non è così: l’esposizione non è "strumentale a pubblicizzare altre attività della società"; e il prezzo del biglietto è "di entità modesta" e "ben si giustifica con la necessità di coprire i costi". E ancora: la Suprema Corte ha individuato le finalità culturali e didattiche del museo, che serve a far conoscere alle nuove generazioni chi è stato Gianni Rivera. E la presunta lesione della personalità del diretto interessato? "Se non fosse stato inserito nella storia del Milan, Rivera avrebbe semmai subito un pregiudizio", il ragionamento ribaltato. Conclusione: i cimeli restano lì.