Zibido San Giacomo (Milano), 7 novembre 2024 – Cinque giorni di perlustrazioni a tappeto non sono stati sufficienti per ritrovare Gino Panaiia. Nessun appiglio in grado di indirizzarle in una direzione precisa. Nessun elemento concreto per restringere il campo e aiutare chi sta battendo la zona a concentrarsi in un punto preciso.
Ieri pomeriggio, a valle di un confronto operativo tra i vertici di Prefettura e Comando provinciale dei vigili del fuoco, sono state interrotte le ricerche che andavano avanti senza sosta – e senza risparmiare uomini e mezzi – dal pomeriggio del primo novembre, quando Nicolò Panaiia ha presentato alla stazione dei carabinieri di Binasco la denuncia di scomparsa del fratello venticinquenne, residente in via De Pretis al quartiere Barona di Milano. La zona che ruota attorno a Cascina Casiglio, nella frazione Badile di Zibido San Giacomo, è stata scandagliata in lungo e in largo da pompieri, militari dell’Arma, volontari della Protezione civile e agenti della polizia locale, con l’ausilio di droni ed elicottero. Senza esito.
Le ipotesi
Da qui la decisione di sospendere le attività, pronti a ripartire nel caso la situazione dovesse cambiare. Al momento, tutti gli scenari sulla sparizione improvvisa restano aperti, anche se alcune considerazioni, collegate all’esito degli accertamenti ancora in corso, portano a collocarli in primo piano o sullo sfondo. Innanzitutto, l’area scandagliata dagli investigatori appare troppo “sporca” per far pensare a un omicidio.
Un interrogativo su tutti induce a trattare con estrema cautela l’opzione del raid mortale: perché i fantomatici assassini avrebbero dovuto lasciare sulla presunta scena del crimine gli oggetti di Gino Panaiia disseminati ovunque e non recuperarli per far sparire le tracce?
Le tracce
Stiamo parlando del giubbotto che teneva sulle gambe per ripararsi dal freddo, del casco, di una scarpa, del motorino in una roggia prosciugata e del borsello con portafogli e chiavi di casa (e dello scooter), trovati in punti diversi e distanti tra loro. Senza contare che non sono stati isolati elementi a sostegno di una possibile aggressione. Allo stesso tempo, né il suicidio né l’allontanamento volontario sono ritenuti credibili. E poi c’è la pista che porta a un incidente o comunque a una caduta accidentale provocata da un malore nelle acque del Naviglio Pavese, che potrebbe essere compatibile con la ricostruzione degli ultimi movimenti di Gino. Una cosa è certa: con il passare dei giorni, si sono progressivamente ridotte, fino a essere confinate a una flebilissima speranza, le possibilità di trovare ancora vivo il venticinquenne scomparso la notte di Halloween dopo aver trascorso la serata con la fidanzata e gli amici in un locale di Zibido.
Le testimonianze
Le testimonianze messe a verbale da parenti e conoscenti dicono che quella notte, poco prima dell’1.30, Gino ha lasciato il bistrot di via Togliatti (sembra dopo aver urlato a tal punto da generare la reazione del titolare) ed è montato in sella al suo Piaggio Liberty 125: visibilmente ubriaco e forse anche sotto effetto di stupefacenti, il giovane è caduto alla prima rotonda; tornato indietro, è ripartito nonostante un amico gli abbia consigliato a gran voce di non mettersi alla guida in quelle condizioni.
L’ultima telefonata
Panaiia ha imboccato un sentiero sterrato e fangoso che porta a Cascina Casiglio, scegliendo probabilmente una strada secondaria per dribblare eventuali controlli (non aveva la patente). All’1.33, ha risposto alla telefonata allarmata della fidanzata dicendole che stava andando a Vigevano, meta ritenuta inverosimile dall’interlocutrice (che abita qualche centinaio di metri più in là). L’ultimo segnale del cellulare alle 2.22 e poi il silenzio.
L’eroina
In questo puzzle ancora da sistemare, va inserito un altro pezzo: il ritrovamento di un borsone con una ventina di chili di eroina. Sulle confezioni c’è il simbolo di Louis Vuitton (spesso i carichi sono contrassegnati dai marchi di grandi aziende o di case automobilistiche), che potrebbe consentire ai carabinieri di capire chi abbia scelto la cascina come imbosco provvisorio e a chi fosse destinata l’ingente partita di “nera”.
Il mistero di Gino c’entra qualcosa? Per adesso, è solo una suggestione. Così come si può solo registrare, senza tracciare ulteriori collegamenti, la parentela tra il venticinquenne e Igino Panaiia (nipote e zio), coinvolto nel 2013 in una faida con i Magrini tra rapimenti, gambizzazioni e pestaggi e ritenuto all’epoca il ras dello spaccio tra i casermoni di via Fleming.